venerdì 6 dicembre 2013

Socialità contro 'social network'



In un vagone del "regionale veloce" Roma Termini - Pisa Centrale delle 18:12, quattro donne arrivano alla spicciolata, senza cenni di saluto, evidentemente non si conoscono, probabilmente non si sono mai viste prima.

Ma riempiono uno spazio creato appositamente per favorire l'interazione tra i 'signori viaggiatori', in un tempo in cui il viaggio in treno era anche, naturalmente, un momento di apertura e contatto con un mondo esterno che cessava, per quel momento, di essere estraneo.

Poi i 'signori viaggiatori' sono diventati 'clienti' e ad un 'servizio' pubblico e sociale è stato imposto di generare profitto, in una recessione culturale che ha scisso forma e sostanza, puntando sempre più all'esaltazione della prima e all'estinzione della seconda.

È così che si compie un contromiracolo e persone che avrebbero molto in comune e molto di cui parlare, racchiuse come sono in una fascia di circa 15 anni, per quanto ho potuto osservare, passano il loro viaggio senza parlare tra loro e con lo sguardo quasi inchiodato ad uno schermo di circa diciotto centimetri quadrati.

Che 'rete sociale' è questa?

giovedì 28 novembre 2013

Decadenza smisurata

Dunque pare che non sia un colpo di stato..

C'è invece il rischio che sia, finalmente, lo stato che batte un colpo, ma di sicuro ci sbagliamo..

Sarà stata una svista,
di certo un'anomalia,
forse una distrazione,
al massimo un dovere.

venerdì 6 settembre 2013

Di pressioni e sorprese, conti e caso.

Da Telese adesso è appena riemersa sorpresa e incredulità nel constatare che gli yesmen (di tutti gli schieramenti) seduti in parlamento han votato la legge severino senza pensare che potesse applicarsi a b.


Perché in studio hanno, o fan finta di avere, scarsissima conoscenza di quello che succede nel rapporto tra le istituzioni o perché non sanno cosa sia la logica?
Forse entrambe le cose.

Ricordo, agli smemorati del caso, che questo paese ha una lunghissima 'tradizione' di tentativi di condizionamento della magistratura che hanno avuto alterne fortune..
È dunque con ogni probabilità questo 'dettaglio', insieme alla 'spada di Damocle' della prescrizione (che la difesa aveva stimato con 'generosità' proprio sperando che i giudici ci cadessero e se la prendessero comoda), che ha fatto pensare agli onorevoli yesmen (che sappiamo essere né dei geni, né degli indovini) "ma figurati se arriva una condanna..!!!"

Ma i vari giureconsulti della mutua e azzeccagarbugli del sultano non avevano considerato quella strana cosa che non hanno mai capito: la legge.
In particolare, com'è ormai notorio, l'obbligo per la Cassazione di procedere d'urgenza in caso di rischio di prescrizione.

Capiamo il loro naturale disprezzo per essa, ma pretendere lo stesso dalla Suprema Corte....!

Dunque tutti i sistemi per 'prevedere' la composizione del collegio giudicante e relative, eventuali - così verosimili da sembrare scontate - pressioni, sono state totalmente vane e si è originato il risultato di cui ora tutti godiamo.
Dunque finiamola con questa ridicola sorpresa da marziani!  

Perché in questo paese le cose vanno cosi e se, a certi livelli, la legge riesce a farsi valere è, spesso, solo per caso, cioè perché i cattivoni hanno sbagliato il conto.

Vediamo di darci tutti una svegliata, per cominciare a farlo girare per bene!

lunedì 19 agosto 2013

Sicurezza di cosa?

"Sicurezza è libertà", questo è il motto che fa bella mostra di sé nel sito del "Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica", ossia il complesso degli apparati di sicurezza italiani che, se non lo sapete ve lo dico ora, sono stati recentemente riformati un paio di volte.

Prima venne la legge 124 del 2007 (in sostituizione di quella precedente, del '77) per, tra le altre cose, accentrare tutti i poteri nelle mani del premier escludendo ministri di difesa e interni.
Pensata da menti fini tra cui non sfigura quella del figlio del 'picconatore' fu molto utile perché approvata giusto in tempo per incidere sugli esiti processuali del sequestro di Abu Omar e mettere il segreto su un po' di atti relativi a quelle e altre indagini.
Ma certamente, come fanno intendere quelli dei servizi, è una legge migliore perché assegna al DIS, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, "compiti specifici e più incisivi" della legge precedente. Dunque mettere tutto nelle mani di uno solo mi pare un prezzo giusto da pagare per una tale "efficienza".
Si, come no.

Poi, il pur già dimissionario Prodi, con un suo decreto, dal poco rassicurante titolo "Criteri per l'individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato", definì gli "interessi supremi da difendere con il segreto di Stato": "l'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato", peccato però che contro il secondo di questi "interessi", il più importante credo, un diverso tipo di attentato, ben più subdolo e strisciante ma anche più efficace, fosse già operativo..
E dunque non si capisce cosa facciano per difendere le istituzioni repubblicane visto che i servizi prendono ordini da chi le minaccia.

Un anno dopo il decreto un'innovativa risposta la dette la 'scandalosa' sentenza della Corte Costituzionale che legittimò l'abuso discrezionale del segreto compiuto dai governi Prodi e Berlusconi: i servizi segreti fanno i sequestri di persona e va bene così.
Un bel passo avanti dal '94, quando ci si limitava a far sparire l' "arsenale della Maddalena": 400 missili, 16.000 razzi, 30.000 mitragliatori, milioni di proiettili e chissà che altro.


Infine è arrivata la legge 133/2012 approvata all'unanimità dal Parlamento su proposta del COPASIR, durante la presidenza D'Alema (prima di lui si sono alternati Scajola e Rutelli, ora c'è Stucchi, nomi di un certo peso insomma..), che fa poco o nulla oltre a fintamente rafforzare il COPASIR stesso, ad esempio assegnandogli il diritto di parere (non si capisce quanto vincolante) e di chiedere il permesso al premier per indagini interne.

Insomma, visto il ruolo che i servizi segreti hanno assunto nella storia repubblicana e anche di recente, come fanno ancora a dire "Sicurezza è libertà", con quale faccia???

Di che sicurezza e soprattutto di che libertà vanno cianciando?

martedì 13 agosto 2013

Dal sequestro Abu Omar alla grazia al colonnello Joseph L. Romano III: una "storia sbagliata" e un pericoloso precedente

Venendo meno alla stessa "dottrina" cui il presidente Napolitano, fin dall'inizio del suo primo settennato, ha più volte, esplicitamente, fatto riferimento e adottato, il 5 aprile 2013 il Capo dello Stato ha concesso la grazia al colonnello statunitense in forza alla NATO, Joseph L. Romano III che fu condannato in via definitiva il 19 settembre 2012 per aver concorso, in territorio italiano, alla nota operazione di extraordinary rendition ai danni del cittadino egiziano Osama Moustafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come l’imam Abu Omar.


I fatti: l'imam venne rapito a Milano, trasferito contro la sua volontà nella base NATO di Aviano in cui il colonnello Romano, nella sua qualità di ufficiale responsabile della sicurezza della base, aveva atteso i sequestratori e garantito loro l’ingresso sicuro e la possibilità di imbarcare il sequestrato su un aereo che lo conduceva a Il Cairo, in cui l'imam fu imprigionato per 14 mesi e più volte torturato.
Alla prima liberazione, avvenuta il 19 aprile 2004, a causa della violazione di un patto di "riservatezza" sulle circostanze del sequestro (che Abu Omar ha dovuto accettare per essere rilasciato), seguì dopo alcuni giorni una seconda prigionia.

Nelle complesse indagini, durate quasi due anni e mezzo, gli inquirenti portarono "incidentalmente" alla luce il tanto vergognoso quanto taciuto scandalo dell'archivio illegale nell' "ufficio riservato" al 230 di via Nazionale che conteneva, tra le altre cose, materiale per operazioni contro potenziali avversari politici del centro-destra, piani di "occupazione" della pubblica amministrazione e degli organi di sicurezza legati al governo (con "bonifica" degli uomini non fidati e loro sostituzione con elementi leali ai nuovi vertici che Berlusconi aveva appena nominato) e materiale relativo a crisi internazionali in Africa e nell'est Europa.
Questo archivio, che rappresenta una delle cose più indegne della storia repubblicana, sarebbe stato realizzato utilizzando informazioni riservate ottenute da persone introdotte in procure, nelle Forze Armate, nella pubblica amministrazione e negli organi di stampa.


Tornando al sequestro, le indagini hanno portato all'incriminazione di 23 agenti Cia e 7 italiani (tra cui l'ex capo del SISMI e il suo vice) e non sono mancati né depistaggi operati dalla Cia (che in un dispaccio segnalava la presenza di Abu Omar nei Balcani) e false coperture diplomatiche per i loro agenti in perfetto stile "spy story", né profondi contrasti istituzionali, in primo luogo con gli esecutivi che tutti, da Prodi a Berlusconi e Monti, in perfetta continuità, «hanno cercato di ostacolare l'accertamento delle responsabilità brandendo un segreto di Stato di volta in volta sempre più esteso e usando reiteratamente, e in modo inedito, l'arma del conflitto di attribuzioni contro ogni grado della giurisdizione (Procura, Gip, Tribunale, Corte d'appello, Cassazione)» per difendere quel segreto posto con qualche ritardo e apparso fittizio fin da subito.
In secondo luogo con i relativi ministri della Giustizia che, evidentemente afflitti da totale sordità, non hanno mai risposto alle richieste della Procura di Milano per spiccare i mandati di cattura internazionale, che alle condanne sarebbero dovute seguire naturalmente, in barba al principio di leale cooperazione nei rapporti tra poteri dello Stato!

Anche per questa tenacia nel rispetto delle leggi e per il vero senso dello Stato dimostrato, non nascondo la mia profonda ammirazione per il pm Armando Spataro, che ha recentemente ribadito: «il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo, oltre che organizzazioni umanitarie e accademici di tutto il mondo, hanno mostrato alto apprezzamento per il rispetto dei diritti umani e l’efficacia investigativa dimostrati dall’Italia. Quell’indagine non è frutto di un errore ed è un precedente solo positivo di cui l’Italia dovrebbe essere fiera».

In effetti, come anche riconosciuto nel citato comunicato del Quirinale, le extraordinary renditions sono pratiche condannate dalla Corte di Strasburgo in violazione degli artt. 3 (divieto di tortura), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della CEDU, dunque gravi violazioni dei diritti umani.


Nel comunicato del Colle invece si preferì vagheggiare di "pratiche non compatibili" per poi insistere in verso opposto, giustificando la posizione del colonnello usa parlando di "sfide alla sicurezza nazionale", "preciso e tragico momento storico", "clima di paura e preoccupazione", "strumenti più idonei per debellare il terrorismo internazionale" e infine di "fatti ritenuti legittimi" dalle istituzioni americane.

Insomma una lunga e laboriosa costruzione per un fragile castello di scuse a sostegno di quest'atto di clemenza.

Fragile castello di scuse perché si regge su considerazioni politiche, cioè proprio quelle che la Corte Costituzionale ha voluto dichiarare non ammissibili, al fine di concedere la grazia, con la fondamentale sentenza n. 200 del 2006 che discende da una precisa ratio decidendi, e che ha definitivamente ribadito come (cito direttamente dal testo, grassetto mio)

 «il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria»,
pertanto ne ha riconosciuto la 
«potestà decisionale del Capo dello Stato, quale organo super partes, “rappresentante dell’unità nazionale”, estraneo a quello che viene definito il “circuito” dell’indirizzo politico-governativo»,
anche al fine di
«evitare che nella valutazione dei presupposti per l’adozione di un provvedimento avente efficacia “ablativa” di un giudicato penale possano assumere rilievo le determinazioni di organi appartenenti al potere esecutivo».
Nella grazia a Romano invece non c'è traccia di ragioni di natura umanitaria, al contrario le motivazioni sono fortemente politiche, e non solo, come abbiamo già visto, sul versante dei rapporti con gli usa ma certamente, quando nel comunicato si affermava che "l'esercizio del potere di clemenza ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione", s'intendeva anche dare un esempio (presunto!) virtuoso all'India, invocando implicitamente che un'analoga clemenza risolvesse l'altrettanto delicata questione dei maro', così svilendo una volta di più, credo, ciò che rimane della nostra sovranità e dell'onore nazionale, auspicando nei fatti, da parte indiana, un'analoga violazione sia delle loro leggi, sia del diritto internazionale, di quella compiuta dall'Italia.

Dunque con la grazia al colonnello Romano, ultimo provvedimento del suo primo settennato, Napolitano compì un atto che ritengo servile nei confronti degli usa, fece un'offerta che ritengo indecente all'India, sferrò un ulteriore schiaffo alla giustizia italiana (e di questo credo proprio non ci fosse bisogno) e ancora, come accennavo all'inizio del post, agisce in piena discontinuità con tutti gli altri atti di grazia precedentemente concessi!

Infatti al momento della concessione si era in assenza dei necessari motivi di carattere umanitario fissati dalla Corte Costituzionale; si era invece in presenza di forti motivazioni politiche, dalla Corte esplicitamente tenute fuori da quelle ammissibili; si trattava di una condanna per un atto di gravissima responsabilità nella violazione di diritti umani mentre, in casi particolarmente gravi, Napolitano aveva sempre rifiutato atti di clemenza.

Si era inoltre in evidente prossimità temporale con la sentenza definitiva, da cui erano passati solo sei mesi e mezzo senza neanche uno straccio di espiazione o pentimento, mentre all'inizio del settennato, lo stesso Capo dello Stato aveva sottolineato in una nota che «come risulta dalla citata sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale [...] la grazia non può mai costituire un improprio rimedio volto a sindacare la correttezza della decisione penale adottata dal giudice», riprendendo e adottando un precedente comunicato del Presidente Oscar Luigi Scalfaro che spiegava: «qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, la grazia ha il significato di una valutazione di merito opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di fatto tra poteri»!!


Risulta quindi evidente che, come dimostrato dal prof. Pugiotto, "l’ultimo atto di esercizio del potere di grazia comporta il rischio di riallocare una prerogativa costituzionale presidenziale nella disponibilità, politicamente orientata, dell’esecutivo" uscendo dunque dall'impalcatura su cui regge tutto il ragionamento della Corte, uscendo dunque dall'ambito di legittimità di quell'atto!

Continua lo stesso Pugiotto (maiuscolo mio): "Più concreto è, invece, il rischio che la riproposizione del potere di grazia in chiave duumvirale LEGITTIMI, IN FUTURO, PROVVEDIMENTI CLEMENZIALI AD PERSONAM, nel senso deleterio che l’espressione ha assunto nel vocabolario politico e nella produzione legislativa degli ultimi lustri. FACENDONE COSÌ UNA POSSIBILE, IPOTETICA EXIT STRATEGY PER PARTICOLARI SCABROSE SITUAZIONI INDIVIDUALI, QUANDO L'ESECUZIONE DI UN GIUDICATO DI CONDANNA TROVASSE RESISTENZA NEL PESO POLITICO DEL CONDANNATO."

VI FA PENSARE A QUALCUNO IN PARTICOLARE?????

È dunque con estremo favore che accolgo la notizia, di questi ultimi minuti, che per un'eventuale grazia a "sua emittenza", il Capo dello Stato dovrà rispondere ufficialmente dinanzi alle Camere!

domenica 14 luglio 2013

Quando manca il rispetto (quello per Eluana e quello per le istituzioni)

L'occasione dell'inedito conflitto istituzionale suscitato dal "caso Englaro", tra un quantomai passivo e indegno Parlamento e un Presidente della Repubblica allora, in via del tutto eccezionale, eccezionalmente rispettoso dei principi costituzionali (visto che, ad esempio, era in quel momento vigente il Lodo Alfano, che fu legge dello Stato dal 23 luglio 2008 al 7 ottobre 2009), era stata agevolmente prevista giusto il giorno prima da Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto Costituzionale.
La sua descrizione dell'inquietante schiaffo al Presidente della Repubblica, era già nelle edicole quando, la mattina del 6 febbraio 2009, l'equipe medica avviava la progressiva riduzione dell'alimentazione di Eluana ed era dunque già disponibile all'opinione pubblica quando alle 14 il consiglio dei ministri approvava un'illegittimo decreto legge per fermare forzatamente quel protocollo sanitario.


Come già preannunciato da una sua lettera al premier, il Presidente della Repubblica rifiutò la sua firma, necessaria all'emanazione del decreto, poiché non superava le obiezioni di costituzionalità precedentemente espresse e allora, per tutta risposta, alle 20 fu riconvocato il consiglio dei ministri in sessione straordinaria per presentare un disegno di legge, con gli stessi contenuti del decreto, da discutere lo stesso lunedì 9 in una sessione straordinaria dal Senato, che quel lunedì sarebbe dovuto restare chiuso, ma che invece rispose ubbidiente alla chiamata.


Mentre la discussione era in atto, alle 19:35, Eluana abbandonò le sue spoglie mortali, rendendola completamente inutile.


In quel clima rovente, in piena tempesta istituzionale, il prof. Azzariti scrisse parole molto chiare e nette indicando che l'intreccio poteva essere ordinatamente dipanato seguendo in modo corretto le procedure, con l'unico vincolo del rispetto: quello reciproco tra poteri dello Stato e quello per il dettato costituzionale:


"D’altronde i limiti d’intervento del Presidente della Repubblica sono fissati chiaramente in Costituzione. Egli non può interferire con l’attività di governo, non contribuisce a fissare le linee di politica del governo, non può neppure partecipare in modo attivo all’attività legislativa. Dunque è amplissimo lo spazio d’intervento dei soggetti politici governanti. Nulla impedisce al Governo e al Parlamento di svolgere la propria autonoma attività di governo, purché essa si svolga nell’ambito delle competenze costituzionalmente prescritte e nel rispetto integrale della legalità costituzionale. Solo a quel punto – se si fuoriesce dal quadro dei principi espressi in Costituzione – l’intervento del Capo dello Stato è dovuto, così come è dovuto, a quel punto, il rispetto delle decisioni assunte dal garante degli equilibri costituzionali; giudizi presidenziali cui tutti gli attori politici e il Governo della Repubblica in primo luogo, devono sottostare."


Contemplando il passato, rileggendo certe lucide osservazioni e tornando a riflettere sull'attualità, diventa evidente che i rispettivi "limiti d'intervento" dei poteri dello Stato e la "legalità costituzionale" sempre più raramente vengono rispettati dalle istituzioni, almeno in quest'ultimo decennio.
Sembrano ormai concetti fuori moda, come dei "paletti di parole" che a volte la stessa Corte Costituzionale stenta a far rispettare. Ma ci torneremo.


Concludo segnalando che in questo caso, a differenza di molti altri, il Presidente della Repubblica seppe con fermezza ribadire la sua contrarietà e negare la sua firma anche di fronte alla indecente e veemente forzatura imposta dall'esecutivo. Il Parlamento fu invece servo, in questa e in troppe altre occasioni.
Anche su questo torneremo presto.

domenica 7 luglio 2013

La coerenza di Anna, un bel tacer non fu mai scritto

«L'emendamento Bruno è comunque inaccettabile perché è ambiguo e in questo modo aprirebbe la porta ad incursioni imponderabili sugli assetti della magistratura, che devono tassativamente rimanere fuori dal perimetro delle riforme. Ma il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e VI della Costituzione va affrontato, tant'è che noi abbiamo i nostri emendamenti...» così denunciava la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, in un'intervista del 29 giugno.


È impossibile ignorare il "Ma" che spazza via i termini netti e precisi della prima frase che vengono infatti contraddetti dalla seconda: prima le «incursioni imponderabili sugli assetti della magistratura devono tassativamente rimanere fuori dal perimetro delle riforme», poi però le stesse incursioni (magari accompagnate da altre ancora..) possono rientrare dalla finestra grazie a un non ben precisato «coordinamento tecnico».
Questa seconda interpretazione, che non sfugge a Sel e M5s, è però più volte, anche veementemente, allontanata dalla senatrice, che invece ribadisce: "La giustizia era esclusa prima e lo è adesso, ora è chiarissimo. Non ci sono più alibi né possibilità di fraintendimento", ad esempio qui, qui e qui, e addirittura affari italiani si sbilancia: "I berlusconiani hanno, per ora, rinunciato al blitz sul tema che sta tanto a cuore al Cavaliere."
Ma cosa dice in realtà l'emendamento? Eccolo:

"Il Comitato esamina i progetti di legge di revisione costituzionale degli articoli dei Titoli I, II, III e IV della Parte Seconda delle Costituzione, nonché i conseguenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali.
Il Comitato esamina o elabora, in relazione ai progetti di legge costituzionali di cui al comma 1, le modificazioni a disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse alla revisione dei Titoli della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse alla revisione dei Titoli della Costituzione di cui al medesimo comma 1, nonchè i conseguenti testi di legge ordinaria in materia elettorale che si rendano eventualmente necessari per assicurare la coerente definizione dell'assetto istituzionale". 

È dunque davvero poco chiaro, nonostante le dichiarazioni della pasionaria, se il ruolo della magistratura, la Corte Costituzionale e le altre garanzie verranno toccate o meno, né che la prima parte della Carta riesca a sfuggire a queste insidie. ANZI.

La verità è che il Parlamento, di cui la senatrice Finocchiaro dovrebbe essere tra i più autorevoli rappresentanti e strenui difensori, da circa vent'anni si fa sempre più servo di due padroni: invece di difendere i propri poteri e assumersi le proprie responsabilità, se le lascia sottrarre ora dal governo, a colpi di decreti e fiducie imposte con ricatti e minacce, ora dal capo dello stato che, non contento degli strappi a consolidate prassi, pretende per sé anche la prerogativa di fare regali al ministro della difesa e di (ri)aprire una stagione sedicente costituzionale!
Senza né il coraggio di dirlo apertamente e di considerare la risposta dei cittadini, né l'onestà di farlo secondo le regole!

domenica 30 giugno 2013

Un incubo (quasi) riuscito

Non è nient'altro che la soluzione più semplice.
Invece di ricominciare da zero con un altro sul colle più alto, magari una persona estranea al solito giro (non sia mai!) con cui faticosamente cercare, senza alcuna garanzia di trovarlo, un nuovo equilibrio, si è andati sull'usato sicuro, realizzando un vero monumento all'immobilismo.
Dalle chiacchiere in Transatlantico, che enrico mentana perfino alimenta e sostiene, mostrando una voglia palpabile di essere parte attiva di quell'intreccio, le Camere riunite, o meglio i noti 5-6 capibastone che la guidano, hanno infine imboccato per l'ennesima volta quei "corridoi laterali della democrazia", che li porteranno a sfogare quella voglia matta di deriva autoritaria che, pur aleggiando nei "salotti buoni" ormai da mezzo secolo, è stata bloccata ogni volta, almeno formalmente.
A votazione non ancora ultimata, parlamentari di una maggioranza prossima futura con fregola di comunicare, tornano già, come molte altre volte hanno affermato, a vestire di necessità il loro vizietto, la "tendenza" al presidenzialismo e al "superamento del bicameralismo perfetto", in modo quasi lascivo, senza alcuna vergogna.
Inizierà probabilmente con un governo amato che li accontenterà proponendo magari quelle profonde lacerazioni dell'impianto costituzionale che vanno tanto cercando, sancendo così la definitiva compromissione del suo equilibrio, e a noi verrà offerto il piatto forte di casa amato: quella dieta di lacrime e sangue che abbiamo solo iniziato a conoscere.



Questo pensavo e scrivevo il 20 aprile mentre, per la seconda volta, eleggevano napolitano.
Una volta fatto questo vecchionuovo governo, naturale conseguenza dell'improvvida rielezione, non hanno perso molto tempo in chiacchiere e minacce: circola infatti già da un po' una bozza, datata 10 giugno, per l'istituzione di un "comitato parlamentare per le riforme costituzionali" a firma letta, quagliarello e franceschini, prendendo spunto da una simile precedente bozza, datata 29 marzo 2013, a firma de poli, che voleva costituire una commissione che avesse mano libera per modificare tutta la seconda parte della Carta Costituzionale, cioè quella che riguarda l'ordinamento della Repubblica, i rapporti tra i poteri dello Stato e le garanzie costituzionali.

le due bozze

Dunque lo stanno facendo, ovviamente è nelle loro possibilità, ovviamente la Costituzione non è perfetta, anzi è migliorabile, ovviamente ci sarebbero ben altre priorità, ma se proprio vogliono cambiarla, come farlo lo dice l'articolo 138:

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Invece nella sua bozza il senatore de poli, di "scelta civica", propone di votare le modifiche proposte tutte insieme in un unico pacchetto, invece di votarle articolo per articolo, come sarebbe logico e naturale, e pensa anche di poter riequilibrare questa grossolana forzatura, imponendo il referendum confermativo (con quorum) necessario per la promulgazione della legge anche nel caso di una sua approvazione con la maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera.
Dunque propone di modificare la Costituzione in deroga all'art. 138, mentre appare significativo che, nella stessa bozza, egli preveda esplicitamente che per cambiare la sua creatura si dovrà invece tornare ad usare il 138!

Evidentemente tutto ciò non è sufficiente per il capo del governo che, assieme ai due ministri citati, priva la bozza de poli di un tetto massimo di spesa per il funzionamento del comitato, ne salva il resto e la "arricchisce" con quattro elementi precisi e di enorme rilevanza.
Stabilisce infatti che il comitato avrà l'esclusiva sui disegni di legge costituzionale riguardanti la seconda parte della Carta e cioè ogni altro disegno dovrà prima essere esaminato dal comitato e poi, eventualmente, armonizzato con gli altri progetti in corso.
Inoltre l'intervallo minimo tra le due deliberazioni di una stessa Camera scende da tre mesi a uno e il referendum confermativo finale andrà richiesto, non è infatti più automaticamente previsto.
Infine la novità più importante: tra le competenze esplicitamente elencate nell'art. 2 comma 1 della bozza letta, figura la revisione dei "soli" titoli I, II, III e V, verrebbe dunque risparmiato, bontà loro, il titolo IV che riguarda la Magistratura (che ad esempio ne garantisce l'indipendenza e stabilisce l'obbligatorietà dell'azione penale) PERÒ viene incredibilmente aggiunto un riferimento chiaro e netto a "i coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali"!


Così non solo la deroga all'art. 138 Cost. si fa ancor più evidente (al punto che la bozza è stata additata come di dubbia legittimità durante il seminario dell'AIC che si è svolto l'altroieri a Roma), ma addirittura si prova ad aggirare in questo modo vergognoso la spinosa e imbarazzante questione della riforma elettorale, provando a nasconderla in questo non richiesto, non gradito e non utile tentativo di revisione della forma di governo, magari covando la speranza di evitare o addolcire il prossimo pronunciamento della Corte Costituzionale sul "porcellum"!

In ogni caso i risultati politici e sociali saranno devastanti, se non altro in termini di tempo perso e aumento della distanza tra classe politica e mondo reale.

Ultima annotazione sul fattore tempo: il «crono-programma» scelto è accorciato in modo esasperato per garantire che la durata totale del processo (contro)riformatore sia inferiore ai famosi 18 mesi, viene dunque da chiedersi se oltre alla fretta di "portare a casa il risultato" prima possibile, svolgendo così diligentemente il compitino assegnato, c'entri qualcosa la concomitanza con la presidenza italiana del consiglio ue, che avrà luogo proprio nel secondo semestre del 2014..


PS: Il tentativo del pdl di inserire anche il titolo IV, e quindi ruolo e poteri della Magistratura, in questa revisione, in un primo momento denunciato dal pd come atto di "pirateria" e fintamente stoppato perfino dallo stesso ministro delle riforme quagliarello, a seguito della solita (dal '96 sembra non sia cambiato nulla) minaccia di far saltare tutto, riceve in queste ore il placet di "Lady Inciucio", anna finocchiaro, che intravede nel progetto di revisione un "problema di coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e VI" da cui, ovviamente, segue che è la Carta Costituzionale ad essere sbagliata e, anche in quelle parti, da cambiare.

Lorsignori avranno mano libera?
Lo permetteremo?

mercoledì 5 giugno 2013

Se il Rwanda batte gli USA tanto a poco.

Un metro interessante dell'assurda miopia e superficialità con cui viene trattato il tema dell'informazione, e della sua necessaria libertà e indipendenza, è dato da come viene affrontata la sua questione più spinosa e delicata, quella dei limiti entro cui tale libertà e indipendenza potrebbe o secondo alcuni dovrebbe attenersi di fronte a una presunta "sicurezza nazionale", spesso non si sa bene invocata da chi.

Su questo sono stati scritti libri a tonnellate e siccome non ne ho letto neanche uno, ma soprattutto visto che in Italia questo è un argomento che fa molto male, per adesso sorvoliamo e prendiamo gli Stati Uniti e il Rwanda.
Il confronto tra i due stati appare a una prima occhiata come impari e scontato e la differenza appare netta visto che il Rwanda è classificato "partly free" dall'autorevole (?) "Freedom house", che invece, ça va sans dire, assegna agli USA un "free" pieno. In effetti il confronto è impari ma tutt'altro che scontato.

Il primo infatti priva un eroe del pacifismo e della trasparenza nell'informazione, Bradley Manning, dei suoi diritti fondamentali con una reclusione che dura da circa 1000 giorni, in attesa di un processo (che però è iniziato solo ieri!) in cui gli contesteranno 24 capi d'accusa (Manning si e dichiarato colpevole di 10, tra i quali non c'è il più grave, aver "aiutato il nemico"). E qui mi viene naturale chiedere cosa pensa l'americano medio di una carcerazione preventiva di 3 anni o più?

Il Rwanda si è da poco dotato di una tra le più avanzate leggi in materia che al primo articolo recita: «La presente legge permette al pubblico e ai cittadini di accedere all’informazione detenuta dagli organismi pubblici ed alcuni organismi privati» e si aggiudica gioco, partita e incontro.

martedì 4 giugno 2013

Difendi te stesso, difendi i tuoi diritti, difendi la Costituzione!

C'è un dato di fatto ineludibile, punto di partenza di ogni considerazione con pretese di oggettività: negli ultimi venti anni sono state ammesse al pubblico confronto democratico voci che democratiche non sono: "schiavi del profitto", "forza mafia" e "w il duce" non sono slogan ammissibili in uno stato di diritto che si fondi su una Costituzione come quella di questo paese.
Quelle voci sono invece state prima tollerate, poi assecondate, infine riconosciute come parte dell'agone politico e dunque ammesse a ricoprire responsabilità istituzionali.

L'unica effettiva innovazione portata da ciò che viene usualmente chiamato "seconda repubblica" è proprio l'aver "sdoganato" queste posizioni che non avrebbero mai dovuto ricevere legittimità alcuna!
E quella che molti si azzardano a chiamare "evoluzione", nel passaggio tra la prima e la seconda, è semplicemente l'abbattimento di questo baluardo di garanzia democratica (ditemi voi che tipo di persona potrebbe rallegrarsene..) e l'inserimento, via via sempre meno implicito e sempre più ingombrante, a comprimere tutto il resto, di questi indegni, illegittimi e incivili punti di vista che hanno ben presto inquinato il dibattito politico pubblico, con l'ovvia conseguenza di distrarlo dalla sua funzione naturale: il bene della collettività.

Mi piace infatti pensare che non sia un caso se proprio tra i due principali doveri dei cittadini di questo paese, cioè la richesta inderogabile di «solidarietà politica, economica e sociale» e quella di «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società», i Padri costituenti hanno voluto esplicitare con precisione i doveri delle istituzioni: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Basta dunque la lettura dei primi quattro articoli della Costituzione per capire quanto potrebbe essere socialmente solida la democrazia in un paese che volesse attuarla facendosi garante dei diritti in essa contenuti! E non sto parlando di un favore, ma della più alta delle leggi!

L'impianto democratico, per garantire i diritti di tutti, deve difendersi da chi democratico non è, da chi, ancora e sempre, vuole e attua modelli di sopraffazione e sfruttamento dell'uomo, da chi toglie un diritto per poi magari concederlo come favore, oggetto di ricatto.

Queste difese non hanno, evidentemente, funzionato bene, soprattutto per la responsabilità di chi doveva vigilare e non l'ha fatto, ma ora tutto minaccia di crollare sotto il peso delle continue, ma in questi giorni più pesanti e spudorate pressioni che, nel più assoluto spregio dello spirito della Carta, mirano a un cambio radicale nella forma di governo e a una rottura definitiva dell'equilibrio tra i poteri dello Stato.
Questo mentre il Paese è sull'orlo del baratro economico, sociale e culturale.

Un tale tentativo di manomissione degli equilibri istituzionali è la spia di una testarda volontà di una svolta autoritaria che, emersa esplicitamente per la prima volta nel 1980 con craxi e amato, affonda però le sue radici in un passato ben più remoto e su cui non è stata fatta ancora sufficiente chiarezza, a troppi non conviene.
Questa spia ci segnala che quella volontà non si arrende e anzi coglie questo momento di debolezza, distrazione e confusione per sferrare il suo attacco più insidioso.

Mentre anche il peggiore Presidente della Repubblica della nostra Storia guarda e non favella, ma vuole tutto fatto entro 18 mesi.
Ora sul presidenzialismo ha messo su una maschera di "neutralità" (come se di fronte alla violenza di questi attacchi la neutralità non fosse una colpa grave..), dopo un primo settennato in cui si è invece attivato, strabordando dal suo compito, nel dare copertura e assistenza a chi ha cercato in ogni modo di abbattere la garanzia dei diritti di tutti, noi non possiamo farci trovare disattenti o impreparati, la Costituzione ha bisogno di te, perché..


La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.
La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.
Piero Calamandrei