domenica 14 luglio 2013

Quando manca il rispetto (quello per Eluana e quello per le istituzioni)

L'occasione dell'inedito conflitto istituzionale suscitato dal "caso Englaro", tra un quantomai passivo e indegno Parlamento e un Presidente della Repubblica allora, in via del tutto eccezionale, eccezionalmente rispettoso dei principi costituzionali (visto che, ad esempio, era in quel momento vigente il Lodo Alfano, che fu legge dello Stato dal 23 luglio 2008 al 7 ottobre 2009), era stata agevolmente prevista giusto il giorno prima da Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto Costituzionale.
La sua descrizione dell'inquietante schiaffo al Presidente della Repubblica, era già nelle edicole quando, la mattina del 6 febbraio 2009, l'equipe medica avviava la progressiva riduzione dell'alimentazione di Eluana ed era dunque già disponibile all'opinione pubblica quando alle 14 il consiglio dei ministri approvava un'illegittimo decreto legge per fermare forzatamente quel protocollo sanitario.


Come già preannunciato da una sua lettera al premier, il Presidente della Repubblica rifiutò la sua firma, necessaria all'emanazione del decreto, poiché non superava le obiezioni di costituzionalità precedentemente espresse e allora, per tutta risposta, alle 20 fu riconvocato il consiglio dei ministri in sessione straordinaria per presentare un disegno di legge, con gli stessi contenuti del decreto, da discutere lo stesso lunedì 9 in una sessione straordinaria dal Senato, che quel lunedì sarebbe dovuto restare chiuso, ma che invece rispose ubbidiente alla chiamata.


Mentre la discussione era in atto, alle 19:35, Eluana abbandonò le sue spoglie mortali, rendendola completamente inutile.


In quel clima rovente, in piena tempesta istituzionale, il prof. Azzariti scrisse parole molto chiare e nette indicando che l'intreccio poteva essere ordinatamente dipanato seguendo in modo corretto le procedure, con l'unico vincolo del rispetto: quello reciproco tra poteri dello Stato e quello per il dettato costituzionale:


"D’altronde i limiti d’intervento del Presidente della Repubblica sono fissati chiaramente in Costituzione. Egli non può interferire con l’attività di governo, non contribuisce a fissare le linee di politica del governo, non può neppure partecipare in modo attivo all’attività legislativa. Dunque è amplissimo lo spazio d’intervento dei soggetti politici governanti. Nulla impedisce al Governo e al Parlamento di svolgere la propria autonoma attività di governo, purché essa si svolga nell’ambito delle competenze costituzionalmente prescritte e nel rispetto integrale della legalità costituzionale. Solo a quel punto – se si fuoriesce dal quadro dei principi espressi in Costituzione – l’intervento del Capo dello Stato è dovuto, così come è dovuto, a quel punto, il rispetto delle decisioni assunte dal garante degli equilibri costituzionali; giudizi presidenziali cui tutti gli attori politici e il Governo della Repubblica in primo luogo, devono sottostare."


Contemplando il passato, rileggendo certe lucide osservazioni e tornando a riflettere sull'attualità, diventa evidente che i rispettivi "limiti d'intervento" dei poteri dello Stato e la "legalità costituzionale" sempre più raramente vengono rispettati dalle istituzioni, almeno in quest'ultimo decennio.
Sembrano ormai concetti fuori moda, come dei "paletti di parole" che a volte la stessa Corte Costituzionale stenta a far rispettare. Ma ci torneremo.


Concludo segnalando che in questo caso, a differenza di molti altri, il Presidente della Repubblica seppe con fermezza ribadire la sua contrarietà e negare la sua firma anche di fronte alla indecente e veemente forzatura imposta dall'esecutivo. Il Parlamento fu invece servo, in questa e in troppe altre occasioni.
Anche su questo torneremo presto.

domenica 7 luglio 2013

La coerenza di Anna, un bel tacer non fu mai scritto

«L'emendamento Bruno è comunque inaccettabile perché è ambiguo e in questo modo aprirebbe la porta ad incursioni imponderabili sugli assetti della magistratura, che devono tassativamente rimanere fuori dal perimetro delle riforme. Ma il problema del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e VI della Costituzione va affrontato, tant'è che noi abbiamo i nostri emendamenti...» così denunciava la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, in un'intervista del 29 giugno.


È impossibile ignorare il "Ma" che spazza via i termini netti e precisi della prima frase che vengono infatti contraddetti dalla seconda: prima le «incursioni imponderabili sugli assetti della magistratura devono tassativamente rimanere fuori dal perimetro delle riforme», poi però le stesse incursioni (magari accompagnate da altre ancora..) possono rientrare dalla finestra grazie a un non ben precisato «coordinamento tecnico».
Questa seconda interpretazione, che non sfugge a Sel e M5s, è però più volte, anche veementemente, allontanata dalla senatrice, che invece ribadisce: "La giustizia era esclusa prima e lo è adesso, ora è chiarissimo. Non ci sono più alibi né possibilità di fraintendimento", ad esempio qui, qui e qui, e addirittura affari italiani si sbilancia: "I berlusconiani hanno, per ora, rinunciato al blitz sul tema che sta tanto a cuore al Cavaliere."
Ma cosa dice in realtà l'emendamento? Eccolo:

"Il Comitato esamina i progetti di legge di revisione costituzionale degli articoli dei Titoli I, II, III e IV della Parte Seconda delle Costituzione, nonché i conseguenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali.
Il Comitato esamina o elabora, in relazione ai progetti di legge costituzionali di cui al comma 1, le modificazioni a disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse alla revisione dei Titoli della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse alla revisione dei Titoli della Costituzione di cui al medesimo comma 1, nonchè i conseguenti testi di legge ordinaria in materia elettorale che si rendano eventualmente necessari per assicurare la coerente definizione dell'assetto istituzionale". 

È dunque davvero poco chiaro, nonostante le dichiarazioni della pasionaria, se il ruolo della magistratura, la Corte Costituzionale e le altre garanzie verranno toccate o meno, né che la prima parte della Carta riesca a sfuggire a queste insidie. ANZI.

La verità è che il Parlamento, di cui la senatrice Finocchiaro dovrebbe essere tra i più autorevoli rappresentanti e strenui difensori, da circa vent'anni si fa sempre più servo di due padroni: invece di difendere i propri poteri e assumersi le proprie responsabilità, se le lascia sottrarre ora dal governo, a colpi di decreti e fiducie imposte con ricatti e minacce, ora dal capo dello stato che, non contento degli strappi a consolidate prassi, pretende per sé anche la prerogativa di fare regali al ministro della difesa e di (ri)aprire una stagione sedicente costituzionale!
Senza né il coraggio di dirlo apertamente e di considerare la risposta dei cittadini, né l'onestà di farlo secondo le regole!