lunedì 19 agosto 2013

Sicurezza di cosa?

"Sicurezza è libertà", questo è il motto che fa bella mostra di sé nel sito del "Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica", ossia il complesso degli apparati di sicurezza italiani che, se non lo sapete ve lo dico ora, sono stati recentemente riformati un paio di volte.

Prima venne la legge 124 del 2007 (in sostituizione di quella precedente, del '77) per, tra le altre cose, accentrare tutti i poteri nelle mani del premier escludendo ministri di difesa e interni.
Pensata da menti fini tra cui non sfigura quella del figlio del 'picconatore' fu molto utile perché approvata giusto in tempo per incidere sugli esiti processuali del sequestro di Abu Omar e mettere il segreto su un po' di atti relativi a quelle e altre indagini.
Ma certamente, come fanno intendere quelli dei servizi, è una legge migliore perché assegna al DIS, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, "compiti specifici e più incisivi" della legge precedente. Dunque mettere tutto nelle mani di uno solo mi pare un prezzo giusto da pagare per una tale "efficienza".
Si, come no.

Poi, il pur già dimissionario Prodi, con un suo decreto, dal poco rassicurante titolo "Criteri per l'individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato", definì gli "interessi supremi da difendere con il segreto di Stato": "l'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato", peccato però che contro il secondo di questi "interessi", il più importante credo, un diverso tipo di attentato, ben più subdolo e strisciante ma anche più efficace, fosse già operativo..
E dunque non si capisce cosa facciano per difendere le istituzioni repubblicane visto che i servizi prendono ordini da chi le minaccia.

Un anno dopo il decreto un'innovativa risposta la dette la 'scandalosa' sentenza della Corte Costituzionale che legittimò l'abuso discrezionale del segreto compiuto dai governi Prodi e Berlusconi: i servizi segreti fanno i sequestri di persona e va bene così.
Un bel passo avanti dal '94, quando ci si limitava a far sparire l' "arsenale della Maddalena": 400 missili, 16.000 razzi, 30.000 mitragliatori, milioni di proiettili e chissà che altro.


Infine è arrivata la legge 133/2012 approvata all'unanimità dal Parlamento su proposta del COPASIR, durante la presidenza D'Alema (prima di lui si sono alternati Scajola e Rutelli, ora c'è Stucchi, nomi di un certo peso insomma..), che fa poco o nulla oltre a fintamente rafforzare il COPASIR stesso, ad esempio assegnandogli il diritto di parere (non si capisce quanto vincolante) e di chiedere il permesso al premier per indagini interne.

Insomma, visto il ruolo che i servizi segreti hanno assunto nella storia repubblicana e anche di recente, come fanno ancora a dire "Sicurezza è libertà", con quale faccia???

Di che sicurezza e soprattutto di che libertà vanno cianciando?

martedì 13 agosto 2013

Dal sequestro Abu Omar alla grazia al colonnello Joseph L. Romano III: una "storia sbagliata" e un pericoloso precedente

Venendo meno alla stessa "dottrina" cui il presidente Napolitano, fin dall'inizio del suo primo settennato, ha più volte, esplicitamente, fatto riferimento e adottato, il 5 aprile 2013 il Capo dello Stato ha concesso la grazia al colonnello statunitense in forza alla NATO, Joseph L. Romano III che fu condannato in via definitiva il 19 settembre 2012 per aver concorso, in territorio italiano, alla nota operazione di extraordinary rendition ai danni del cittadino egiziano Osama Moustafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come l’imam Abu Omar.


I fatti: l'imam venne rapito a Milano, trasferito contro la sua volontà nella base NATO di Aviano in cui il colonnello Romano, nella sua qualità di ufficiale responsabile della sicurezza della base, aveva atteso i sequestratori e garantito loro l’ingresso sicuro e la possibilità di imbarcare il sequestrato su un aereo che lo conduceva a Il Cairo, in cui l'imam fu imprigionato per 14 mesi e più volte torturato.
Alla prima liberazione, avvenuta il 19 aprile 2004, a causa della violazione di un patto di "riservatezza" sulle circostanze del sequestro (che Abu Omar ha dovuto accettare per essere rilasciato), seguì dopo alcuni giorni una seconda prigionia.

Nelle complesse indagini, durate quasi due anni e mezzo, gli inquirenti portarono "incidentalmente" alla luce il tanto vergognoso quanto taciuto scandalo dell'archivio illegale nell' "ufficio riservato" al 230 di via Nazionale che conteneva, tra le altre cose, materiale per operazioni contro potenziali avversari politici del centro-destra, piani di "occupazione" della pubblica amministrazione e degli organi di sicurezza legati al governo (con "bonifica" degli uomini non fidati e loro sostituzione con elementi leali ai nuovi vertici che Berlusconi aveva appena nominato) e materiale relativo a crisi internazionali in Africa e nell'est Europa.
Questo archivio, che rappresenta una delle cose più indegne della storia repubblicana, sarebbe stato realizzato utilizzando informazioni riservate ottenute da persone introdotte in procure, nelle Forze Armate, nella pubblica amministrazione e negli organi di stampa.


Tornando al sequestro, le indagini hanno portato all'incriminazione di 23 agenti Cia e 7 italiani (tra cui l'ex capo del SISMI e il suo vice) e non sono mancati né depistaggi operati dalla Cia (che in un dispaccio segnalava la presenza di Abu Omar nei Balcani) e false coperture diplomatiche per i loro agenti in perfetto stile "spy story", né profondi contrasti istituzionali, in primo luogo con gli esecutivi che tutti, da Prodi a Berlusconi e Monti, in perfetta continuità, «hanno cercato di ostacolare l'accertamento delle responsabilità brandendo un segreto di Stato di volta in volta sempre più esteso e usando reiteratamente, e in modo inedito, l'arma del conflitto di attribuzioni contro ogni grado della giurisdizione (Procura, Gip, Tribunale, Corte d'appello, Cassazione)» per difendere quel segreto posto con qualche ritardo e apparso fittizio fin da subito.
In secondo luogo con i relativi ministri della Giustizia che, evidentemente afflitti da totale sordità, non hanno mai risposto alle richieste della Procura di Milano per spiccare i mandati di cattura internazionale, che alle condanne sarebbero dovute seguire naturalmente, in barba al principio di leale cooperazione nei rapporti tra poteri dello Stato!

Anche per questa tenacia nel rispetto delle leggi e per il vero senso dello Stato dimostrato, non nascondo la mia profonda ammirazione per il pm Armando Spataro, che ha recentemente ribadito: «il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo, oltre che organizzazioni umanitarie e accademici di tutto il mondo, hanno mostrato alto apprezzamento per il rispetto dei diritti umani e l’efficacia investigativa dimostrati dall’Italia. Quell’indagine non è frutto di un errore ed è un precedente solo positivo di cui l’Italia dovrebbe essere fiera».

In effetti, come anche riconosciuto nel citato comunicato del Quirinale, le extraordinary renditions sono pratiche condannate dalla Corte di Strasburgo in violazione degli artt. 3 (divieto di tortura), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della CEDU, dunque gravi violazioni dei diritti umani.


Nel comunicato del Colle invece si preferì vagheggiare di "pratiche non compatibili" per poi insistere in verso opposto, giustificando la posizione del colonnello usa parlando di "sfide alla sicurezza nazionale", "preciso e tragico momento storico", "clima di paura e preoccupazione", "strumenti più idonei per debellare il terrorismo internazionale" e infine di "fatti ritenuti legittimi" dalle istituzioni americane.

Insomma una lunga e laboriosa costruzione per un fragile castello di scuse a sostegno di quest'atto di clemenza.

Fragile castello di scuse perché si regge su considerazioni politiche, cioè proprio quelle che la Corte Costituzionale ha voluto dichiarare non ammissibili, al fine di concedere la grazia, con la fondamentale sentenza n. 200 del 2006 che discende da una precisa ratio decidendi, e che ha definitivamente ribadito come (cito direttamente dal testo, grassetto mio)

 «il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria»,
pertanto ne ha riconosciuto la 
«potestà decisionale del Capo dello Stato, quale organo super partes, “rappresentante dell’unità nazionale”, estraneo a quello che viene definito il “circuito” dell’indirizzo politico-governativo»,
anche al fine di
«evitare che nella valutazione dei presupposti per l’adozione di un provvedimento avente efficacia “ablativa” di un giudicato penale possano assumere rilievo le determinazioni di organi appartenenti al potere esecutivo».
Nella grazia a Romano invece non c'è traccia di ragioni di natura umanitaria, al contrario le motivazioni sono fortemente politiche, e non solo, come abbiamo già visto, sul versante dei rapporti con gli usa ma certamente, quando nel comunicato si affermava che "l'esercizio del potere di clemenza ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione", s'intendeva anche dare un esempio (presunto!) virtuoso all'India, invocando implicitamente che un'analoga clemenza risolvesse l'altrettanto delicata questione dei maro', così svilendo una volta di più, credo, ciò che rimane della nostra sovranità e dell'onore nazionale, auspicando nei fatti, da parte indiana, un'analoga violazione sia delle loro leggi, sia del diritto internazionale, di quella compiuta dall'Italia.

Dunque con la grazia al colonnello Romano, ultimo provvedimento del suo primo settennato, Napolitano compì un atto che ritengo servile nei confronti degli usa, fece un'offerta che ritengo indecente all'India, sferrò un ulteriore schiaffo alla giustizia italiana (e di questo credo proprio non ci fosse bisogno) e ancora, come accennavo all'inizio del post, agisce in piena discontinuità con tutti gli altri atti di grazia precedentemente concessi!

Infatti al momento della concessione si era in assenza dei necessari motivi di carattere umanitario fissati dalla Corte Costituzionale; si era invece in presenza di forti motivazioni politiche, dalla Corte esplicitamente tenute fuori da quelle ammissibili; si trattava di una condanna per un atto di gravissima responsabilità nella violazione di diritti umani mentre, in casi particolarmente gravi, Napolitano aveva sempre rifiutato atti di clemenza.

Si era inoltre in evidente prossimità temporale con la sentenza definitiva, da cui erano passati solo sei mesi e mezzo senza neanche uno straccio di espiazione o pentimento, mentre all'inizio del settennato, lo stesso Capo dello Stato aveva sottolineato in una nota che «come risulta dalla citata sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale [...] la grazia non può mai costituire un improprio rimedio volto a sindacare la correttezza della decisione penale adottata dal giudice», riprendendo e adottando un precedente comunicato del Presidente Oscar Luigi Scalfaro che spiegava: «qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, la grazia ha il significato di una valutazione di merito opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di fatto tra poteri»!!


Risulta quindi evidente che, come dimostrato dal prof. Pugiotto, "l’ultimo atto di esercizio del potere di grazia comporta il rischio di riallocare una prerogativa costituzionale presidenziale nella disponibilità, politicamente orientata, dell’esecutivo" uscendo dunque dall'impalcatura su cui regge tutto il ragionamento della Corte, uscendo dunque dall'ambito di legittimità di quell'atto!

Continua lo stesso Pugiotto (maiuscolo mio): "Più concreto è, invece, il rischio che la riproposizione del potere di grazia in chiave duumvirale LEGITTIMI, IN FUTURO, PROVVEDIMENTI CLEMENZIALI AD PERSONAM, nel senso deleterio che l’espressione ha assunto nel vocabolario politico e nella produzione legislativa degli ultimi lustri. FACENDONE COSÌ UNA POSSIBILE, IPOTETICA EXIT STRATEGY PER PARTICOLARI SCABROSE SITUAZIONI INDIVIDUALI, QUANDO L'ESECUZIONE DI UN GIUDICATO DI CONDANNA TROVASSE RESISTENZA NEL PESO POLITICO DEL CONDANNATO."

VI FA PENSARE A QUALCUNO IN PARTICOLARE?????

È dunque con estremo favore che accolgo la notizia, di questi ultimi minuti, che per un'eventuale grazia a "sua emittenza", il Capo dello Stato dovrà rispondere ufficialmente dinanzi alle Camere!