venerdì 28 febbraio 2014

Il cambiamento

Il berlusconi fu decaduto ridiventa impunito seviziatore della già martoriata giustizia italiana.
Quando? #adesso! con @Matteo Renzi.


mercoledì 19 febbraio 2014

"L’abbraccio di Berlusconi, lo schiaffo di Grillo."

Sarò strano io a dare più peso alla sostanza a scapito della forma, sarò feticista del controcorrente visto che quasi tutti dicono il contrario, ma credo che Grillo abbia fatto bene a perculare Renzi in diretta www.

Certo, il voto online degli iscritti, per la seconda volta contrario (seppur di poco) sia alle indicazioni dei 'guru', sia ai pareri espressi da molti eletti a 5 stelle, era stato chiaro e andava rispettato, per molti motivi diversi, riassumendo: sia per motivi di forma mostrando finalmente rispetto per le istituzioni in una fase molto importante e insieme molto delicata, sia per motivi di sostanza cogliendo una delle rare occasioni di aperto confronto faccia a faccia e le possibili conseguenze che un tale incontro avrebbe potuto originare.

Non sbaglia dunque chi accusa Grillo di non aver rispettato il voto degli iscritti e la volontà di confronto da esso espressa, ma se davvero gli è stato chiesto di partecipare (da chi? dai capigruppo?) non credo ci si potesse attendere qualcosa di diverso. Credo infatti che una volta presa la decisione di partecipare alle consultazioni, si suppone con intento costruttivo, ci sarebbe dovuto andare qualcuno convinto dell'utilità di quel confronto, penso magari ad Orellana, in modo da realizzare al meglio quell'intento.

Una volta che all'incontro invece ci va lui, non poteva andare diversamente, giustamente mia sorella ha commentato senza problema "ha fatto il Grillo, ha fatto bene".

E credo che abbia ragione, perché chi si sente deluso o indignato per il comportamento di Grillo, dovrebbe considerare l'approccio con cui Renzi ha portato avanti queste consultazioni, sta formando il governo e sta gestendo il confronto con gli altri partiti e riflettere se, soprattutto alla luce del surreale comunicato di berlusconi e del vero e proprio diktat di alfano, era possibile per il m5s avere un ruolo sensato.
C'era realmente una possibilità di dialogo?



D'altra parte lo fa capire subito Renzi che dicendo "non siamo a chiedervi un voto di fiducia, non siamo a chiedervi un governo.."
Personalmente è sembrato un deja vu e così facendo toglie dall'imbarazzo il suo interlocutore che sarebbe invece stato in seria difficoltà se messo di fronte a una seria intenzione di realizzare alcuni punti programmatici insieme. Grillo infatti mostra immediatamente il suo sollievo con una battuta e ha buon gioco a ribadire l'estraneità del movimento ai 'soliti giochi di palazzo'.

Con un tale 'brutto incipit' Renzi solleva Grillo da ogni ruolo di responsabilità e immediatamente fa uscire la politica dalla porta, trasformando quello che sarebbe dovuto essere un confronto aperto in una gara di monologhi in cui, tra colpi di sciabola, fioretto e qualche stilettata, vince a mani bassi l'unico che non è ingessato dal ruolo istituzionale.

Il ruolo lo costringe a tenere un tono tollerante e conciliante e Renzi ne è estremamente cosciente, lo si vede dal 'low profile' tenuto fino allo stremo e da quel "ragazzi, serenità!", l'invito con cui congela i cenni di polemica dei suoi, soprattutto di un Delrio che scalpita soprattutto al "quel decreto non abolisce le provincie" unico ma preciso ed efficace intervento di Di Maio.

Ciò fin quando si rende conto che sta accusando troppi colpi senza ribattere, "siete stati eletti per fare i sindaci, non per fare 'ste robe" e "non sei più credibile" sono in effetti belle bordate..
E allora riprova a più riprese ad esporre delle idee programmatiche (principalmente riforme istituzionali) e goffamente prova a metterla sul 'dolore', prima con le due ragazze che si sono uccise ieri e poi, dopo la controbattuta “Non è il trailer del tuo show, ti va male la prevendita?”e la geniale "esci da questo blog", sbotta ancora in modo francamente patetico: “questo è un luogo dove c'è il dolore vero della gente".

Grillo è certamente andato sopra le righe ma anche da Renzi ci si poteva attendere un altro approccio. Se tale è stato non è certamente per caso, era obiettivamente un incontro a cui per primo lo stesso Renzi non aveva nulla da chiedere, ha provato a farne l'ennesimo spot ma non era aria.

Le dichiarazioni successive, quelle ai giornalisti, sono state anche più interessanti..

martedì 18 febbraio 2014

Fondata sul lavoro.

Oltre all'immediato richiamo all'articolo 1, spesso strumentalmente banalizzato, ma che banale è solo all'apparenza, la Costituzione Italiana fa spesso riferimento al lavoro, in modo diretto o indiretto a dimostrare che dire esplicitamente 
«L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» 
non fu, come molti vorrebbero far credere, un vuoto diktat da "comunisticomunisticomunisti" né un vezzo da "radical-chic", ma il riconoscimento del ruolo che il lavoro ha e deve avere nella vita dell'uomo e nella società: non è un caso che di diritto al lavoro parlino almeno 10 articoli e che a questi seguano quelli relativi alla impresa e al credito.

Il lavoro, per la Costituzione, non deve essere qualsiasi né a qualsiasi costo, anzi, come recita l'articolo 4:
«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.»

Nell'ottica dunque di concorrere, «secondo le proprie possibilità e la propria scelta», al «progresso materiale o spirituale della società», esso va protetto, regolato e quando possibile migliorato:
«La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.» (Art. 35)
per tendere costantemente, come recita l'Articolo 3, al «pieno sviluppo della persona umana» allo scopo di favorire «l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Ma leggendo gli articoli immediatamente successivi 
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.» (Art. 36) 
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.» (Art. 37)
diventa evidente quanto ormai la realtà degradata che viviamo quotidianamente si sia allontanata dal dettato costituzionale, sia in termini di degna retribuzione sia di parità nella fruizione dei diritti!

Per la Carta, anche quando il lavoro non c'è più, che sia per un tempo breve o definitivamente, va garantito il rispetto della «pari dignità sociale» di ogni cittadino:
«Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera.» (Art. 38)

Ma nessun diritto va mai dato per scontato, è anzi necessario difendere e ribadire il grado di civiltà raggiunto con i mezzi e nelle sedi opportune. Per questo è garantita la libertà dei sindacati, come organizzazioni mediante cui i lavoratori difendono i propri diritti:
"L'organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E' condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce." (Art. 39)

Dunque viene formalmente riconosciuto come diritto fondamentale il principale mezzo che i lavoratori hanno per far valere le proprie ragioni:
"Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano." (Art. 40)

A ribadire, anche dal lato della «iniziativa economica privata», che il lavoro non deve essere qualsiasi né a qualsiasi costo, è il successivo Articolo 41 che è stato, non per caso, fatto spesso oggetto di attacchi per indebolirlo:
«L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità; sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.» 
Per limitare e non assecondare l'interpretazione della libertà di iniziativa economica come finalizzata al mero accumulo di profitto e «stabilire equi rapporti sociali», «la legge impone obblighi e vincoli» e «aiuta la piccola e media proprietà» (dall'Art. 44), inoltre sono previste nella Costituzione espropri e trasferimenti di «imprese o categorie di imprese» per destinarle «allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti», allo scopo di salvaguardare utilità e interesse generale, e:
«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.» (Art. 46)


Non è possibile ripercorrere qui la parabola compiuta dal diritto del lavoro negli ultimi 70 anni, né ricostruire la complessa evoluzione del conflitto sociale in questo paese e del rapporto tra lavoratori, sindacati, aziende, né descrivere come questo rapporto sia stato prima regolato e poi sostanzialmente deregolato dai moltissimi interventi legislativi, di cui diversi illegittimi.

Semplicemente volevamo provare a tornare ai principi costituzionali, ricordando che vennero formulati in un paese in macerie e con l'intenzione di costruire, dopo profonde riflessioni e accesi dibattiti, una comunità politica e sociale adatta a creare reale benessere per tutti, come a fissare lo scheletro di un ambizioso ma necessario programma politico di lungo respiro.

E restituirvi l'impressione di quanto oggi ne siamo lontani.

domenica 9 febbraio 2014

Due domandine su dignità e sovranità

Chi conosce le statistiche di accesso a questo blog sa che non ci piacciono i post popolari. Oggi vogliamo farci un paio di domande sorte naturalmente da un pezzo del sempre ottimo Marco Lillo, che non ha ricevuto la meritata visibilità e che cito: 
"I pm napoletani quel giorno chiedono increduli: “Cioè loro (il Pdl, ndr) individuavano la Camera di appartenenza in relazione a quella dove era più possibile non avere l’autorizzazione a procedere?”. E De Gregorio conferma. Ieri il Senato, dove si sono fatti eleggere Verdini e Berlusconi non è stato un valido scudo. Anche se la costituzione di parte civile del Senato rischia di essere un bel segnale simbolico in un processo nato morto."
Passando sopra le valutazioni etiche e morali (ormai non solo inutili ma addirittura fuori moda..) che da tali parole potrebbero facilmente scaturire, a proposito dei comportamenti e della stessa natura di una parte politica che conosciamo, ci chiediamo dunque: la prescrizione si può allungare? E il processo in corso si gioverebbe di una tale modifica o ciò non è permesso dalla natura garantista della nostra legislazione?

Cominciando dalla fine: l'ultima volta che ho visto, a poter incidere su processi in corso, acquisendo così valore retroattivo, sono solo le norme con effetti 'favorevoli all'imputato'. Dunque no, ha ragione Lillo, questo sembrerebbe proprio un 'processo nato morto'. 

E però non credo ciò fosse un mistero: essendo note la lunghezza della prescrizione e la data del misfatto, lo sapevano di certo tutti i senatori, quelli che hanno votato 'si' e quelli che hanno scelto il 'no'! E lo sapeva certamente il presidente Grasso che ci ha fatto una gran figura (o per meglio dire ha risparmiato al Senato l'ennesima onta).
Ma allora, a ben guardare, che figura ci fa il Senato nel costituirsi, perdipiù in un modo apparso molto controverso e contrastato, parte civile in un 'processo nato morto'? Aveva senso una tale, apparentemente aspra contrapposizione?

La conseguenza di una sentenza di prescrizione sarebbe allora una evidente ed eclatante manifestazione dell'impossibilita di ottenere giustizia in questo paese.. Perfino quando la parte lesa è un ramo del Parlamento, la sua istituzione più alta, 'sovrana', addirittura!!
Bella sovranità di Pulcinella..

Torniamo dunque alla prima domanda: la prescrizione si può allungare? Ossia, è possibile cominciare a riparare ai danni che il berlusconismo ha inferto a questo paese o dobbiamo ancora aspettare molto tempo prima di riprenderci un po' di dignità?

Nota a margine: la scelta di Grasso è sembrata molto coraggiosa, e così intrinsecamente carica di dignità, da suscitare in molti l'auspicio che egli possa succedere a Napolitano.
Accedere in soli 7 anni (o anche meno) alla più alta carica individuale prevista dalla Costituzione, sarebbe certamente la più fulminante carriera politica mai vista!
Non è la prima volta che tali auspici si presentano e siamo convinti non sarà l'ultima.