giovedì 10 dicembre 2015

C'è o ci fa?

Corro al treno, non perché lo stia perdendo ma perché voglio il posto a sedere, mi voglio rilassare e ascoltare un po' di belle canzoni di Lucio Dalla.

Sono dentro, vado al piano alto e trovo posto facilmente.
Due file più avanti una giovane coppia che si scambia dolci effusioni e, sarà la musica, ma mi perdo a guardarli: stanno molto bene assieme e per una volta il cinismo lascia il posto a una serena contemplazione, come davanti a un quadro particolarmente evocativo.

Finisce il pezzo, ne comincia un altro, lei poggia la testa stanca sulla spalla di lui mentre passa accanto a me una una ragazza molto bella, con un che di esotico, capelli lisci mori lunghi, un colorito olivastro, magra ma con altre notevoli curve, che si ferma e trova posto proprio accanto alla coppia, oltre il corridoio.

È un attimo ma pare un secolo: mentre gli occhi di lei sono chiusi, lo sguardo di lui è catturato e in un paio di furtive ma sostanziose occhiate 'mappa' la nuova arrivata.

Quel secolo si conclude con lo sguardo di lui che si spegne, diventa fisso, come assente e sembra ora scruti la sessantenne che ha di fronte, ma io lo so, ho visto: è arrivato il senso di colpa.

Mi scappa una risata sardonica e poi un 'ma che... ma allora...'




lunedì 23 novembre 2015

Quando memoria e dignità scacciano l'opportunismo.

Anche da questo sperduto angolo della rete vogliamo contribuire a diffondere un messaggio profondo - della cui segnalazione ringraziamo la pagina di contropiano.org, mentre il suo sito è ancora inaccessibile per uno strano attacco - carico di memoria, dignità e onestà intellettuale.
Tutte cose che qui da noi sembrano scarseggiare mentre ne avremmo un bisogno assoluto.



Una ricercatrice palestinese risponde all'Ambasciata di Israele
5 novembre 2015

Samar Batrawi è ricercatrice presso l’Università King’s College di Londra. Di recente ha scritto degli articoli che trattavano, in particolare, i movimenti e gruppi violenti che operano, in Siria e in Irak.
Interessata alle sue ricerche sullo Stato Islamico, l’Ambasciata di Israele a Londra, l’ha invitata, questa settimana, per una “discussione”. Ecco la sua risposta.

“Desidero dire, senza equivoci e nel modo più chiaro, che io rifiuto ogni associazione o collaborazione con l’Ambasciata di Israele a Londra, per due distinte ragioni.

Innanzitutto, io sono la nipote di Mahmoud e Fatima Batrawi, due Palestinesi di Isdrud, che sono stati deportati, forzatamente, quando lo Stato che voi rappresentate è stato creato. Entrambi sono sepolti, in un cimitero della Cisgiordania, sormontato dalla colonia illegale di Psagot, legittimata dal governo dello Stato che voi rappresentate. 


La mia famiglia è una delle molte famiglie palestinesi che sono sopravvissute e cresciute, contro ogni previsione, contribuendo alle società in cui vivono. Sono medici, insegnanti, avvocati, giornalisti, scrittori e accademici.
È sulle spalle di questi eccezionali esseri umani che io, Palestinese che ha vissuto sotto la brutale rioccupazione di parti della Cisgiordania durante la Seconda Intifada, sto.
Voi siete, come ha detto chiaramente uno dei vostri cittadini più coscienziosi, “i loro occupanti, i loro torturatori, i loro carcerieri, i ladri della loro terra e della loro acqua, quelli che li esiliano, i demolitori delle loro case, quelli che bloccano i loro orizzonti”.
È sotto l’occupazione dello Stato di Israele che mio padre deve vivere, ogni giorno; è il suo assedio di Gaza che la mia famiglia ha sopportato, troppo a lungo; è il suo Governo criminale che ha diviso la mia famiglia in due, per più di dieci anni.
È il “diritto all’autodifesa di Israele” che disturba il mio sonno, ogni notte, quando mi chiedo se mi sveglierò con la notizia che un dei miei cari è stato ucciso, come “danno collaterale”, in una delle vostre operazioni, astutamente orchestrate.
È l’odore del gas lacrimogeno, sparato dalle “forze di difesa” che sento nei miei incubi, un ricordo infantile condiviso da molte generazioni di Palestinesi.

In secondo luogo, l’articolo che ho scritto sull’apparente appropriazione della questione palestinese da parte dello Stato Islamico non implicava un interesse condiviso tra Israeliani e Palestinesi, come tutti quelli che lo hanno letto in modo critico avranno capito.
Voi rappresentate l’occupante e io rappresento l’occupato. Non è una posizione politica ma, piuttosto, la realtà della mia vita, quella che lo Stato di Israele mi ha imposta. Nessun supposto interesse comune può prevalere su questo fatto fondamentale.
I soli temi da discutere sono i Diritti Umani Fondamentali dei Palestinesi che vivono sotto occupazione e in esilio. E lo Stato che voi rappresentate ha ben chiarito di essere disinteressato a questa questione.

Due brevi commenti finali.

Che cosa rappresenta per voi il 3 novembre?
In questo giorno di 59 anni fa, le forze israeliane hanno massacrato centinaia di Palestinesi, a Khan Younis.
Mia nonna era una giovane mamma all’epoca, mio padre aveva pochi mesi. Lei lo teneva in grembo, nascosto sotto il vestito, con la paura che le forze israeliane lo potessero trovare e portarglielo via.
Sono morte tra le 275 e 415 persone, quel giorno, ma la mia famiglia è sopravvissuta per raccontare la storia. Questo rappresenta per me il 3 novembre.

Infine, come cittadina palestinese, titolare di una carta di identità della Cisgiordania, non ho diritto a mettere piede in Israele, a meno che non ottenga un permesso.
Per questo, trovo divertente il fatto che l’Ambasciata di Israele vorrebbe organizzare un incontro con me perché, anche se accettassi questa offerta, avrei paura di essere picchiata e imprigionata dalle vostre guardie per infiltrazione.

Trovo vergognoso che vi rivolgiate a me, in queste circostanze. È probabile che io debba sopportare gli ordini del vostro Stato, ancora per molti anni, ma questa è una di quelle rare, bellissime occasioni, in cui posso dire al mio occupante, al mio torturatore, al mio carceriere, al ladro della mia terra, a quello che mi esilia, al demolitore della mia casa, a quello che blocca il mio orizzonte

No.

Cordialmente,
Samar Batrawi
PhD Candidate and Graduate Teaching Assistant
Department of War Studies
King’s College London



                         


(Traduzione di Marisa Conte)
Link originali: http://www.foulexpress.com/2015/11/palestiniennerepondisrael/

e https://julianafarha.wordpress.com/2015/11/04/rsvp-a-palestinian-refuses-an-israeli-invitation/

giovedì 29 ottobre 2015

Autoritaria e incostituzionale

A lungo sono rimasto sconcertato da come renzi e i suoi sgherri in tailleur o giacca e cravatta stanno attuando un rinnovato - ma dal solito, ben noto sapore - tentativo di distruzione della nostra Costituzione, per completare lo svuotamento della nostra democrazia.

Mi scuotono oggi le parole, che meritano ampia diffusione e che sono onorato di rilanciare, di un chiarissimo articolo (l'originale si può trovare qui alle pagine 2 e 3, ho solo messo dei grassetti) del professor Gianni Ferrara, tra le voci più potenti e autorevoli schierate contro le molte lingue allenate a battere il tamburo del potere.





Una premessa è dovuta. Il Parlamento italiano è illegittimo perché eletto con un sistema elettorale giudicato tale con sentenza 1/2014 dalla Corte Costituzionale. In qualsiasi paese civile sarebbe stato sciolto. In Italia invece tale Parlamento legifera, anche in materia costituzionale.

In perfetta coerenza con l’incostituzionalità che avvolge tutto l’ordinamento, il Senato ha approvato in prima lettura un progetto di legge che ne modifica la composizione, le funzioni ed il ruolo attribuitogli dalla Costituzione finora vigente. Contribuisce così a concretizzare un disegno. Un disegno eversivo della forma di governo e della forma di Stato e che stravolge l’identità della Repubblica. Eversivo non solo, e non tanto, perché il Senato perde il potere di concedere o revocare la fiducia al governo e conserva, assieme alla Camera, soltanto per alcune materie il potere legislativo: revisione costituzionale, ordinamento dello stato, leggi elettorali, referendum, minoranze linguistiche, organi di governo, comuni, trattati, estensione dell’autonomia regionale.

Il Senato perde quindi la funzione di deliberare sulla maggior parte dei disegni di legge, per i quali ha solo un potere di emendamento che la Camera dei deputati, provvista dell’intera potestà legislativa,
può benissimo disattendere. Non tanto per queste menomazioni, la “riforma” del Senato è eversiva; lo è per gli effetti che esse producono sull’intero sistema costituzionale combinandosi con la legge elettorale, l’italicum.

Va intanto rilevato che la configurazione del Senato, approvata martedì 13 ottobre, si colloca fuori dei modelli di seconda camera esistenti nel mondo. In nessun paese, a sistema bicamerale, i membri del senato sono eletti dai consigli regionali “su indicazione” degli elettori, mediante listini abbinati alle liste che competono nelle elezioni regionali. È del tutto evidente, comunque, che “indicazione” non significa voto, e l’ambiguità della formula può permettere non poche e gravi distorsioni. Si aggiunga che il numero dei consiglieri-senatori eletti in una Regione per ciascuna lista dipenderà dal numero dei seggi che spetterà alla lista, non dalle libere scelte degli elettori.

Riguardo poi alle nuove funzioni che il testo vorrebbe attribuire al Senato, il meno che si possa dire è che quelle “di raccordo tra Stato e gli altri enti costitutivi e tra questi e l’Unione europea” non risultano munite di strumenti. Né si desume in quale forma il Senato possa partecipare “alle decisioni dirette alla formazione ed attuazione degli atti normativi e della politiche dell’Unione europea”. Quanto mai oscura appare poi la formula con cui dovrebbe concorrere (ma con chi?) alla “valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni e alla verifica dell’attuazione delle leggi”. Il tipo di valutazione, il tipo di verifica, gli strumenti e gli effetti che produrrebbero sono lasciati alla più ampia ed arbitraria discrezionalità di un legislatore che non si prevede come particolarmente affidabile. Su di un altro piano, lascia infine più che perplessi l’attribuzione dell’immunità parlamentare ai consiglieri-senatori per la loro appartenenza ad un ceto politico rivelatosi non proprio esemplare.

La contrarietà alla riforma del Senato, prevista dal disegno di legge approvato il 13 ottobre, è motivata, come si è premesso, soprattutto dalla sua connessione all’italicum. Una legge elettorale, questa, che si fonda sul “premio di maggioranza”, pari a 344 seggi (24 in più della metà più uno dei 630 della Camera), e lo attribuisce al partito che ottiene il 40% dei voti.
Qualora nessuna lista abbia raggiunto tale quorum, il premio sarà conferito, mediante ballottaggio tra le due liste più votate, a quella tra queste che avrà avuto un voto in più dell’altra, qualunque sia il numero di voti conseguiti in questa competizione: il 35, il 30, il 25% dei voti complessivi.

È del tutto chiaro che sia nel caso che una lista raggiunga il 40% di voti, sia che vinca il ballottaggio, non è ad una maggioranza che si attribuisce il “premio”, ma ad una minoranza, quella che ottiene un solo voto in più di ciascuna delle altre minoranze alle quali però si sottraggono i seggi che si assommano nel premio. Premio che costituisce comunque un privilegio, una appropriazione indebita di seggi che spetterebbero a tutte le altre liste che risultano essere numericamente la reale maggioranza.

Non è per caso che nessun altro paese europeo ammetta un tale capovolgimento della volontà del suo corpo elettorale, trasformando una minoranza in una maggioranza. Si aggiunga poi che le liste elettorali dei 100 collegi plurinominali avranno un capolista che sarà comunque eletto se la sua lista otterrà seggi. Questo significa che chi decide la composizione delle liste, che è di solito il leader del partito, oltre a scegliere tutti i candidati, sceglie pure chi di questi sarà comunque eletto se la lista ottiene seggi nei singoli collegi. Anche se sarà sopravanzato, quanto a voti di preferenza, da altri candidati.

Le conseguenze da trarre da questa descrizione sono incontestabili. Il leader di quel partito che ha scelto i candidati (e, tra questi, quelli da lui nominati come capilista), se all’elezione della Camera dei deputati la sua lista ottiene, anche con solo il 25% dei voti la maggioranza di 344 deputati, otterrà pure, oltre che il potere di governo, il potere legislativo, attraverso il quale anche quello dei contenuti delle sentenze, più quello di eleggere il presidente della Repubblica, tre giudici costituzionali, i membri laici del Consiglio superiore della magistratura.

Snaturando così tutti gli organi di garanzia. Quella garanzia che avrebbe potuto frenare la degradazione autoritaria delle istituzioni cui mira e che sta realizzando Renzi, rinnegando quel principio di civiltà giuridica che è la separazione dei poteri, stravolgendo la Costituzione fino a sfigurare l’identità della Repubblica, da parlamentare in autoritaria, con un solo uomo al comando.

Garanzia che un Senato diversamente configurato avrebbe potuto assicurare. Quello votato il 13 ottobre, no.

sabato 17 ottobre 2015

'Migranti vademecum antirazzista' ??

La polemica che ormai da anni, ma con una notevole escalation negli ultimi mesi, riempie le prime pagine di stampa, tiggì e media tutti, vive del contrasto (a volte addirittura della sovrapposizione) di due differenti discriminazioni: tra la 'xenofobia' di chi accetta per altri esseri umani 'che vengono da fuori' - ovviamente - un trattamento evidentemente degradante, ma imposto per legge (e convenienze varie, dal voto al soldo e ritorno) e l'estremo opposto, correttamente definito 'autorazzista', di chi non si cura e permette l'abbattimento sostanziale - che anche se graduale è quasi completo - dei diritti fondamentali che l'ordinamento e la stessa Costituzione di questo paese dovrebbero garantire a chi ci vive.


Credo vadano entrambe contrastate evidenziandone l'assurdità, aldilà delle solite posizioni sciatte e comode, ma oggi 'trending' tra espertoni ed opinionisti.
Per esempio, quando mi sono imbattuto in questo volantino - a dispetto dell'opinione che ho (avevo) per 'Valigia blu' - l'ho trovato subito insostenibilmente superficiale, perché non contrasta efficacemente la prima e presta troppo facilmente il fianco alla seconda:



Non ho potuto non scrivere di getto quel che pensavo: avrei preferito da Valigia Blu un volantino un filo più chiaro, del tipo motivare un no come risposta a:

1) è possibile che chi decide di bombardare e alimentare l'instabilità in alcune zone lo faccia con la consapevolezza di sostenere certi flussi e dunque anche tutti i mercati (armi, droga, esseri umani, ecc..) che ne sono diretta conseguenza?
[perché molto più interessante di sapere se c'è un'invasione (o no) è capire se essa è stata provocata (o no) e con quale scopo, esportando non certo democrazia ma instabilità sia 'là' che 'qua'!]

2) è possibile che questo dei 'campi' sia uno schema puramente assistenzialista modello dc per cui si mantiene per forza una gestione 'emergenziale' del 'problema', proprio per poter attuare pratiche poco trasparenti, a sostegno di un'industria dell'accoglienza che a detta di buzzi rende molto bene, fattura davvero poco e quindi alimenta la corruzione e la presa autoritaria di certi soggetti su istituzioni che furono democratiche?
[perché è vero che all'immigrato va solo una minima parte dei liquidi che ungono il meccanismo, ma 'the dark side of the moon' è che buona parte di quei 40-2,5=37,5 euro a persona al giorno contribuiscono a cementare il solito sodalizio tra classe politica, mafia e altre "cose" e ciò mi pare più interessante di dire "tranquilli, il migrante resta povero", nonché il maggiore motivo per abbattere questo schema - oltre al fatto che è illegale e incostituzionale, ovvio!]

3) [questa mi ha fatto ridere, qua gli eufemismi si affollano] è possibile che proprio perché "a parità di qualifica", o meglio mansione, "ricevono una retribuzione più bassa" e dunque che questo tipo di manodopera riceva la preferenza dei datori di lavoro (che si sa, mirano a minimizzare i costi, per sopravvivere in tempi di crisi o comunque, un po' meno giustamente, al massimo profitto) al posto di chi pretende (ormai senza neanche molta convinzione) il rispetto dei pur logori e sempre più stracciati diritti?
A questo punto torniamo alla schiavitù, conviene!
Tutto ciò va considerato anche alla luce dell'impossibilità - spesso provocata dai più alti livelli istituzionali - di un controllo efficace del rispetto di condizioni di lavoro 'dignitose' (sembra ridicolo tutto ciò ma non lo è, visto come incide sulla vita di ciascuno di noi!).
[come fa tutto questo a non causare una competizione al ribasso??
e allora, invece di quantificare il gettito (quanto quello fiscale?) o la ricchezza prodotta dalle condizioni date, sarebbe di certo più interessante quantificare quello 'a gioco corretto'.]

Su 4) ok, anche qui ci sarebbe un risvolto di assistenzialismo come al 2) nonché mandrie di bufale da sfatare, di cui 5) è solo un esempio, ma sorvoliamo.

Su 5): "rigenerati" o ricondizionati non sono esattamente sinonimi di basso costo, ma su questo la "bufala da sfatare" è quella sulle schede prepagate regalate, mi sarebbe piaciuto leggere due parole su quello. E invece niente.

Infine, su 6) ben più efficace sarebbe stato citare a) le leggi con tratti discriminatori, di sicura incostituzionalità, che hanno generato quella massa di detenuti e soprattutto - conoscendo voi - b) un sistema mediatico troppo spesso disponibile a sbattere il "negro" o lo "zingaro" in prima pagina con sensazionalismo tipico, mutuato dagli usa e con analoghe motivazioni.

Cioè quelle di creare ad 'arte' un bisogno di sicurezza che orienta il consenso su posizioni conservatrici, 'xenofobe' e miopi che costituiscono la base per le famose 'guerre tra poveri', funzionali ad approfondire le fratture - invece di riconoscere gli interessi comuni - tra i blocchi sociali distraendoli dall'impegno per un'efficace opposizione all'autoritarismo del potere costituito.

Senza dimenticare che oggi, nel nostro paese specialmente, ha grossi problemi non solo di consenso, ma addirittura di legittimità...




Ps: successivamente mi sono accorto che il volantino in questione altro non è che una riduzione di un articolo ben più esteso e dettagliato che però lascia comunque totalmente in piedi tutte le mie obiezioni, anzi ne genera altre su punti non citati nel volantino, per chi vuole specifico ulteriormente nel seguito.

A proposito del primo punto, che ricordo si prefiggeva di smentire l'invasione, addirittura subito dopo aver citato fonti del ministero dell'interno che fondamentalmente commentano con un 'business as usual', tutto come previsto si fa un rapido accenno a "organizzazioni di trafficanti di essere umani"
come se fosse del tutto normale un loro 'contributo' alla gestione di questo flusso di 'risorse'!!
Neanche dedica alla faccenda un capoverso, mentre l'articolo da loro stessi citato parla di un 'giro d'affari' di 15,7 miliardi, forse la questione meritava un qualche approfondimento.....
E invece no, si prosegue sciorinando dati sull'ospitalità degli altri paesi ue e del mondo, come se niente fosse.

Sul secondo punto, ok, si puntualizza che circa il 92% della spesa per migrante al giorno va in mani italiane, anzi spesso resta nello stesso comune, si citano i dati dello sprar ma la mia mente torna a questo e a numeri da capogiro, altro che qualche spiccio dato al migrante o a chi fisicamente lo ospita o lo nutre.

Nell'articolo di Valigia blu al terzo punto si parla di lavoro e ci vengono subito forniti i dati del ministero guidato da poletti! Saranno affidabili - a proposito, che peccato che questo contributo sia stato rimosso! - quanto quelli sul 'jobs act'?
In ogni caso com'è possibile citare frasi quali «la variazione positiva del numero di occupati (pari a +0,4% rispetto al 2013) è da attribuire esclusivamente alla componente straniera» e ancora «seppur con lievi incrementi, la forza lavoro straniera ha controbilanciato l’emorragia occupazionale che ha investito quella italiana» e continuare a sostenere che non vi sia competizione?!!

Insisto, vista la centralità del tema, nell'evidenziare le contraddizioni e la scarsa sensatezza dei dati riportati: prima si cita un saggio della Banca d'Italia, ma sull'intero scenario europeo, con evidente annacquamento dei dati, che addirittura si fermano al 2010!
Poi, con sprezzo del ridicolo si passa a un report del CNEL, o meglio la sintesi del report, datato 2012, che assicura: «la presenza immigrata non ha un ruolo significativo nell’influenzare la probabilità per un lavoratore italiano di perdere l’occupazione entrando nella disoccupazione. Non c’è un concorrenza» - certo, dico io: a quello ci pensa la 'flessibilità in uscita' - e lo studio continua tranquillo: «qualche effetto, non rilevante però dal punto di vista quantitativo, si può ritrovare invece in termini di probabilità di ingresso nell’occupazione per i disoccupati», bravi espertoni, avranno mai sentito parlare di lavoro nero?

Ciliegina sulla torta, citando mipex, affermano: «da un lato, numerosi giovani migranti non risultano né inseriti nel mondo del lavoro né inquadrati in un percorso di formazione, dall’altro c’è invece il problema opposto, ossia, non si riesce a soddisfare l’alta formazione degli immigrati, che continuano a svolgere lavori che non sempre rispecchiano il loro livello di studio», bene la frase resta verissima (purtroppo) anche togliendo le parole 'migranti' e 'immigrati', perché è vera in generale, per i giovani e i laureati italiani!
Quindi, chi si straccia le vesti per i migranti ma poi dice «c'è la crisi» e fa spallucce quando si tratta dei cittadini italiani, sta forse chiedendo verso i migranti, l'elargizione da parte dello stato di un migliore trattamento rispetto a quanto con le proprie forze riesce a strappare un normale cittadino?

Questa è l'assurdità che va sotto il nome di autorazzismo: è evidente la discriminazione al contrario, un insulto alla logica oltre che alla dignità.

Vi sono infine dei passaggi che trovo francamente inquietanti:

Uno dopo l'altro troviamo prima un utilizzo del migrante per influenzare i prezzi dei beni di consumo e la fruizione dei servizi, e dopo un commento quasi da strozzino poiché segue la constatazione di «un elevato gap tra le retribuzioni degli italiani e degli stranieri a sfavore di quest’ultimi» e questa interpretazione viene rafforzata dopo poche righe: «il saldo tra spesa pubblica e tasse pagate dagli stranieri è positivo, per un valore di 3,9 miliardi di euro».

Ci si riprende giusto un po' nel finale quando finalmente ci si accorge che il problema del capolarato (ma per gli autori pare sia l'unico) non riguarda solo gli stranieri e si cita la notevole inchiesta di Raffaella Cosentino.


Si deve cominciare a capire che la parola di cui tutti si riempiono la bocca, "integrazione" (questa sconosciuta) ha un valore positivo solo se è 'al rialzo' sui diritti, soprattutto in questioni come il lavoro, altrimenti è omologazione dello sfruttamento, che crea e moltiplica soggetti deboli e ricattabili - socialmente e politicamente - colpendo al cuore la democrazia, in particolare la nostra che proprio su dignità e lavoro trova fondamento e legittimazione.

Così dovrebbe essere, così non è più da molto tempo e non è con 'buonismo' e generosità ad ogni costo che si migliora la situazione, soprattutto ora che siamo davanti a un altro incubo quasi riuscito.

martedì 16 giugno 2015

Ancora non smettono di prenderci in giro

Oggi, mentre Stefania Limiti con pazienza infinita e attenzione certosina demoliva, parola dopo parola, la valanga di semplificazioni qualunquiste e di falsi obiettivi distraenti degli interventi precedenti, ho incontrato per pochi intensi secondi lo sguardo e i piccoli occhietti stanchi di paolo cirino pomicino.

Dopo aver ascoltato l'eloquio forbito ma falso di un vero democristiano, a stento sono riuscito a controllarmi e impedirmi di urlare «ma perché non dite la verità? fatela finita!».

Perché si, anche dopo 37 anni il caso Moro è aperto, presenta moltissimi punti oscuri, soprattutto se ci si costringe a seguire solo le versioni ufficiali, e obbliga molti 'esperti' a vere e proprie scene teatrali per tenere viva la finzione e distratto l'uditorio. 

Purtroppo la risposta è semplice, la motivazione è una: non c'è la voglia, l'interesse.

Da un lato alcune cose non si possono (ancora) dire, chiaramente perché ci sono persone coinvolte che ancora hanno potere e non vogliono perderlo.
Molti altri poi sono 'eredi' di protagonisti di quegli anni e anche loro hanno interesse affinché nulla cambi. La somma di questo è che ci sono centinaia di persone nelle Istituzioni che SANNO.


Infine sullo sfondo, c'è la gente, che risponderebbe 'ho ben altro a cui pensare' o minime variazioni sul tema, sullo sfondo si vede l'interesse pubblico che non c'è, non esiste più: è evaporato sotto la potenza degli oscuri raggi di politiche distruttive del tessuto sociale, che hanno mirato e ancora mirano a creare contrapposizioni e fratture, le cosiddette 'guerre tra poveri', per indebolire e distrarre l'opinione pubblica, per favorire il controllo sociale e mietere facili consensi, additando come comodi nemici pubblici i soggetti più esclusi, deboli, marginali.

Anche chi, per formazione o tradizione politica, era portato a maggiore attenzione e sensibilità verso i temi sociali e a favorire politiche più aperte e di protezione del lavoro e di rispetto della funzione pubblica, è oggi disorientato dalle posizioni di uno stato che troppe volte ha tradito se stesso, cioè i cittadini.

Avremmo altro a cui pensare, è vero, ad esempio grazie alla continua opera di precarizzazione del lavoro, che l'attuale governo ha portato avanti come nessun altro prima, siamo distratti da altre questioni più pressanti e individuali, come il mantenimento o la ricerca di un posto di lavoro: anche grazie alle 'guerre tra poveri', siamo tornati finalmente, al contatto diretto con la durezza del vivere!


Come nell'ottocento!
Come se la Costituzione non ponesse la dignità umana al centro dell'impianto repubblicano e non impegnasse lo Stato a rispettarla e alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo.


Probabilmente su certi fatti non si potrà mai fare chiarezza in modo definitivo e pubblicoperché altrimenti si aprirebbe il vaso di Pandora e salterebbe lo schema di potere che tiene questo paese in una sovranità che sempre più scopriamo FINTA, da burletta.

Perché l'assoluta mancanza di sovranità reale, della possibilità di fare scelte libere e indipendenti, è ciò che ha permesso il perpetuarsi di quegli intollerabili scempi di cui la storia del nostro paese è costellata e, attraverso un filo nero, ci ha portato al giogo sotto il quale siamo oggi, i cui ceppi si chiamano nato, euro e prossimamente ttip.

Finché mancheranno i presupposti di un'ampia partecipazione pubblica sostenuta da un'informazione attenta, indipendente e pluralista, non si potrà affermare che l'Italia è una democrazia.

Naturalmente questo governo sta andando nella direzione diametralmente opposta.

giovedì 21 maggio 2015

"In Italia su un barcone": sbatti laqualunque in prima pagina

Così titola l'informazione unica riferendosi al ragazzo di 22 anni che avrebbe fornito 'aiuto logistico' per la strage del Bardo a Tunisi avvenuta a marzo.
La notizia è che il presunto 'aiuto attentatore' sarebbe riuscito a penetrare la fortezza europa arrivando in Italia con un barcone!

Da sky, fresco spacciatore di 'notizie' dai maxischermi di roma termini - che però l'altra sera era al tiggi per altre ragioni - ai titoloni delle homepage dei giornali, tutti finalmente concordi nella necessità di regolare questo flusso di migranti intollerabile!

È n'attimo e a me torna in mente il Nigergate'E che d'è?' sbotterà l'uomo della strada, questo è!

Ricapitolo velocemente: nel 2003 Saddam dava fastidio come al solito, ma quella vecchia volpe di bush aveva bisogno di dare un segno: la menava già da un po' a quel mega ente inutile che è l'onu e in tutto il mondo, affermando che l'Irak era in possesso di armi di distruzione di massa e pronto ad usarle.
In questo era ovviamente spalleggiato dai soliti lacchè british, ma un contributo fondamentale alla soluzione del fastidio l'abbiamo dato noi.

Si, noi, più precisamente il governo italiano: è stato il sismi - la cui catena di comando arriva direttamente al governo - a creare il casus belli infatti, come ha scritto qui quasi 10 anni fa il compianto Giuseppe D'Avanzo con la precisione e l'acume che sempre l'hanno contraddistinto, "la farina di questo sacco è romana" e il falso dossier che ne venuto fuori è valso una guerra.

Dopo aver fatto il giro di parecchie scrivanie di servizi segreti occidentali (i primi a bollarlo come patacca furono i francesi già intorno al 2000, ma non misero dei manifesti in giro, ovviamente) visto che era una bufala troppo gustosa per lasciarsela scappare, fu limata meglio, pompata a dovere e infine usata durante il suo 'discorso sullo stato dell'unione' del gennaio 2003, sempre dal volpone bush, per sbilanciare l'opinione pubblica mondiale e arrivare, solo due mesi dopo, alla seconda guerra del Golfo.


Tornando all'oggi: qua si aveva un disperato bisogno di spingere un'opinione pubblica che mai come ora cammina sul filo: da una parte sbalestrata da un'impressionante sequela di supposte 'riforme' (qui un molto generoso resoconto di Valigia blu che abbona i ritardi e soprattutto non parla di merito e necessità di tali stravolgimenti, qui un veloce commento sul merito), tanto che comincia ad avvertire le prime serie difficoltà a sedersi e dall'altra parte zombiezzata da una potenza di fuoco disinformativo mai vista prima, riunita perché assolva insieme alla funzione di ciambella, di anestetico e di sciroppo per la tosse (quest'ultimo importantissimo per far considerare più la pagliuzza del travone).

Siccome la propaganda basata sul razzismo - che non striscia più da un pezzo e che non è uno ma almeno trino, visto che è cavalcato a fasi alterne (o addirittura sovrapposte) dai tre maggiori leader - non bastava neanche nella versione 'avvantaggiata', cioè con l'aggiunta degli spauracchi spot tipo l'ebola (che a volte ritorna, a proposito di zombie, occhio eh) o da quello 'più a lungo respiro' del terrorismo islamico (paura che vince non si cambia!! ;) ), insomma, siccome tutto ciò non bastava a distrarre dal merito e dalle conseguenze di quelle quattro o cinque supposte che liquefanno i nostri diritti e le ultime garanzie rimasteci (per poi spaccarle alla prima gelata), si avvertiva proprio il bisogno della pistola fumante.

Ed eccola qui, il signore è servito, per ora!



Non mi stupirebbe però leggere tra un po' di tempo che le accuse di oggi si sono sciolte come neve al sole. 


Update: neanche il tempo di finire il pezzo (iniziato ieri sera) e..:


mercoledì 8 aprile 2015

Un discorso sulla Costituzione - Piero Calamandrei

Quello che inizia ora potrebbe essere uno degli ultimi giorni di vita della Costituzione della nostra Repubblica, si direbbe 'così come la conosciamo', ma chi la conosce davvero?

Nel luglio 1945 fu istituito il Ministero per la Costituente, presieduto da Pietro Nenni, con il compito di «preparare la convocazione dell'Assemblea costituente e di predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione che dovrà determinare l'aspetto politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e sociale».
Oltre a commissionare studi su praticamente tutto lo scibile umano, riempiendo 14 volumi per circa 5000 pagine, pubblicò, ad uso popolare, le Guide alla Costituente distribuendole a chiunque ne facesse richiesta gratuitamente!

Lo splendido frutto di quell'impegno e quegli studi - immaginatevi nell'immediato dopoguerra quale sforzo potesse essere necessario per portarli a termine in tempi ristretti - resta oggi in larghissima parte inattuata e, assurda pigrizia e negligenza sia del popolo sia del governo, non è mai stata meno conosciuta di oggi, come mi accorgo ascoltando come se ne parla sia nei comuni mezzi di comunicazione sia tra la gente.

Questa diffusissima ignoranza non resiste a caso credo e ovviamente conviene a chi ha il potere - così è sempre quando il popolo è ignorante - poiché in questo paese ormai sostanzialmente immobile da decenni - ed immobile è anche generoso, per molti versi siamo tornati indietro - questa Carta conserva intatto lo stesso carico rivoluzionario di quando è stata scritta, quando questo paese stava provando a ricominciare, dalle macerie della guerra, con una forza e una speranza sconosciute oggi, ormai (irrimediabilmente?) perdute.

Per conoscere e per capire dobbiamo allora tornare alle basi e per provare a rimediare chiedo aiuto a Piero Calamandrei, un vero e proprio 'nume tutelare' dell'Anima della nostra Repubblica:




L’art. 34 dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Eh!

E se non hanno mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi.

Dice così: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di Uomo.

Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo – «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da Uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.

E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà.

In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro da compiere.

Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!

È stato detto giustamente che le costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica.

Questa polemica, di solito, è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.

Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute.

Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.

Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente.

Perché quando l’art. 3 vi dice: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana» riconosce con questo che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli.

Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.

Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire.

Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della società.

Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.

Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.

La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove.

Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.

Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è – non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani – una malattia dei giovani.

«La politica è una brutta cosa»«che me ne importa della politica»: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante.

Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: «Ma … siamo in pericolo?», e questo dice: «Se continua questo mare, il bastimento tra mezz’ora affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda!». Quello dice: «Che me ne importa, non è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io!

Il mondo è così bello, ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica.

La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento.

È la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo.

Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946: questo popolo che da 25 anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi.

Ricordo – io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui – queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni [elettorali], disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio Paese, del nostro Paese, della nostra Patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.

Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto - questa è una delle gioie della vita - rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.

Ora, vedete – io ho poco altro da dirvi – in questa Costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato.

Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli.

E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.

Quando io leggo, nell’art. 2, «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», o quando leggo, nell’art. 11, «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la Patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini, questa è la voce di Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, «tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour; o quando io leggo, nell’art. 5, «la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, «non è ammessa la pena di morte», ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani.

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti.

Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione!

Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.

Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.



venerdì 20 febbraio 2015

Indelebile oltraggio

Sarò semplicistico ma dei "molti donatori che stanno facendo generose offerte" m'interessa come di chiedere l'elemosina, soprattutto mentre l'ambasciatore dice che non risarciranno il nuovo restauro.
Beh, 'caro' sindaco, di certo se glielo chiediamo con cortesia quelli giustamente ci prendono come fossimo tutti lino banfi in un noto film.

È vero, se quelle bestie tifose erano note per la condotta vandalica allora dovevamo essere "pronti", dal ministro dell'interno a prefetto e questore... MA PRONTI A CHE? Anche ad un attacco a colpi di razzi e kalashnikov, magari?



È banale dire che questo è il prodotto della meravigliosa educazione 'orange'.
Che questo è il frutto collaterale di un sentire europeo che si manifesta in modo sempre più conclamato come un recinto in cui alcuni lupi si sono messi a guardia del pollaio per poterne approfittare come e quando vogliono.
E dell'assurdo senso di superiorità impunemente esibito da finlandesi, tedeschi e olandesi, che di recente si è aggiunto alle analoghe - e altrettanto assurde - pretese di superiorità della 'cultura protestante' su quella mediterranea, che noi spesso alimentiamo con ingenuità e autoironia se non addirittura con vittimismo (finto) e punte di masochismo o servilismo.

Questa gente nordica inqualificabile - chi ha colpito la fontana e chi se ne frega di sostenerne il restauro - ascolta il proprio governo che si permette di stigmatizzarci paternalisticamente come spendaccioni, irresponsabili e destinati al fallimento, mentre tra loro si chiamano, e si fanno chiamare dalla stampa serva, "paesi virtuosi"!
Quando poi, per rendersi conto che la verità è un altra, basta cercare nei motori di ricerca «l'olanda ha sforato» o «la germania ha sforato».

Senza divagare ancora, credo che il rispetto per le opere d'arte - ancor più per quelle inserite 'naturalmente' nel tessuto urbano e dunque gratuitamente apprezzabili da tutti - sia un valore assoluto dell'umanità intera, senza distinzione alcuna.
Per questo tanto scandalo e orrore hanno causato le notizie della distruzione da parte dei 'talebani' di statue del Budda o analoghe minacce di cui sono stati - e sono - oggetto i maggiori siti archeologici della Siria, tra l'altro rinvigorendo gli ululati strumentalmente superficiali degli sciacalli dello 'scontro di civiltà'!
Ma di quale civiltà sono portatori questi?


Che poi se sa che rotterdam è na città de @#%$£. 

UPDATE: A ulteriore conferma che il problema è la presunta superiorità di un popolo su un altro sono questi toni.

mercoledì 28 gennaio 2015

Delrio?

Prende piede l'ipotesi del chierichetto renziano per eccellenza, l'uomo più vicino al bomba, il pio caritatevole dalla parola solida come una roccia (ma non come una provincia).

È bene dirlo chiaro, se vince il buon Graziano vince Lui.

Commentando come renzi sta 'gestendo' queste 'consultazioni', Enrico Mentana ha sbottato "è chiaro che se avesse cinquant'anni andrebbe direttamente lui" e, a ruota, Damilano ha aggiunto "unificherebbe le cariche".

Lo dicevano ridendo, ma rendiamoci conto di una evidenza non più ignorabile: l'unto di Rignano sull'Arno vuole un iperpresidenzialismo senza alcun contrappeso e controllo.
In spregio della Costituzione e dell'intero costituzionalismo!

Lo si deduce anche in modo diretto dal combinato malefico delle (contro)riforme costituzionali e del renzellum.

Ma se gli riuscirà di incoronare il suo scrivano ciellino, saremo già in un presidenzialismo di fatto.
In attesa di quello formale che spazzerà via il Diritto dal nostro paese.

Altroché la vera e propria bestemmia costituzionale di un 'presidente notaio'...!!

giovedì 22 gennaio 2015

Veltroni?



Attualmente è commentatore cinematografico presso iris, canale televisivo di mediaset, a dar retta a wikipedia.
Come un ideale completamento di una carriera ellittica.

Quando si parla di lui mi sorprendo sempre pieno di domande su cosa stia facendo, tipo la classica: 'ma non era in Africa?' So che non sono il solo, malfidati siamo, magari ha risolto tutti i problemi di Maputo.


Oppure, 'ma non faceva lo scrittore?'
Certamente ha scritto molto, di calcio, di musica, di Africa, di cinema e ovviamente di politica: dal "sogno spezzato" kennediano alla "sfida interrotta" di Berlinguer, da "I care. Con videocassetta" sul partito democratico (?) a "La nuova stagione. Contro tutti i conservatorismi" (lui si che se ne intende), passando per "Che cos'è la politica? Con DVD". Chi meglio di lui potrebbe spiegarcelo?
Peccato solo che non abbia potuto titolarlo "Come si vince in politica".

O ancora, 'ma non era diventato un regista?'

Il suo film su Berlinguer è stato apprezzatissimo, un po' per il sollievo che si occupasse veramente di altro e non più di politica, un po' perché dava un ottimo contributo alla banalizzazione di una delle poche figure di riferimento per chi, in qualche senso, si sente 'di sinistra'. Sempre che ciò oggi abbia ancora un significato.


quando c'era Berlinguer, ma Walter..?
Pare invece che, come ci ricorda Antonello Sotgia, a quei tempi un significato ancora ci fosse, insieme a «Un popolo. Finalmente un popolo. Con le sue contraddizioni, i suoi diversi umori, le sue divisioni, le diverse strategie, capace di ritrovarsi in più occasioni (contro la scuola di classe, contro la guerra in Vietnam, sul referendum per divorzio e aborto…) ed anticipare la riflessione dei partiti che rincorrevano o ostacolavano.
Un fenomeno che ha attraversato, dolorosamente, alcune generazioni. Anche quella di Walter Veltroni che, però, di questo non parla con il suo “quando c’era Berlinguer”, un documentario che ha voluto chiamare film.
Tessuto sul filo del ricordo personale, aiutato da un montaggio che strizza l’occhio a quella televisione che lo ha prodotto [...] Veltroni, fin dall’inizio, sembra impegnarsi più di tutto ad assolversi. A dire di essere stato dentro quella storia, ma di essere riuscito a tirarsene fuori.»


una passionaccia: il riformismo
Riuscire a raccontare Berlinguer senza trasmettere quelle riflessioni e quei fenomeni è uno spettacolare contributo, questa volta però sul lato "culturale", allo sterminio (forse definitivo) di ogni residua traccia di "sinistra".
Sterminio senza fretta però, ché negli ultimi anni è stato uno sport molto praticato dai politici e a cui, proprio sul lato "politico", ha già saputo dare fondamentali contributi coi suoi spettacolari fallimenti, perfettamente in linea con una certa tradizione..no, non quella del PCI, ma quella di chi quel partito ha sabotato dall'interno portandolo all'agonia finale, da napolitano ad occhetto, poi d'alema, ovviamente veltroni e i vari fassino, gentiloni, franceschini, bersani..(casualmente tutti pronti oggi a salire al colle più alto!)
Non si parli più di eredità comunista.

Per comprendere o ricordare cosa era divenuto il pd e il clima, le posizioni, in un momento sí turbolento, ma meno di oggi (metà 2010), consiglio fortemente la visione di questo reperto almeno dal minuto 6:30 (se non volete godervelo tutto)

                   


ma forse bastano quei 5 secondi (da 7:46) mentre dice, con quel suo solito tono davvero pietoso «ci sarà una volta nella storia di questo paese, in cui il riformismo potrà diventare maggioranza!» che dà bene il senso della convinzione veltroniana di una vittoria ineluttabile.

POI SPAZZATO VIA DALLA STORIA.

È rimasto però il vizio di affidarsi sempre più alla retorica, dipingendo un futuro migliore per definizione, lasciando da parte i toni rivendicativi di quei diritti senza cui un futuro migliore è solo un miraggio, un'illusione!
Questa è la principale innovazione di un politico di lungo corso (deputato dall' '87) seppur intermittente (e c'è da ringraziarlo, perché averlo avuto a getto continuo sarebbe stato terribile) che, allevato nella pancia dell'apparato e da sempre ritenuto, insieme a quell'altro, un'enfant prodige (da semplice giornalista pubblicista fu nominato direttore dell'Unità), è riuscito a bruciare una delle più ghiotte occasioni della storia - facendo anche peggio della 'gioiosa macchina da guerra' di Occhetto - un'occasione che pure aveva avuto tempo e modo di apparecchiarsi come voleva!
Mi riferisco ovviamente alle elezioni del 2008, ma andiamo con ordine.


Walter sssindaco, Walter leader
Con rara efficacia lo dipingeva Edmondo Berselli: «Walter ha la capacità straordinaria di esserci e di sparire, di impegnarsi e di eludere», da direttore 'non comunista' pubblica i vangeli insieme con l'Unità (oltre alla furbata delle videocassette) e li porta in udienza privata al papa, ma poi anni dopo, come «segretario DS, comanda. Il presunto buonista cambia cinque segretari su nove nella federazione delle grandi città, e 15 segretari regionali su 19. Si presenta al congresso del 2000 a Torino con un manifesto intitolato "Progetto per la sinistra del duemila" e con lo slogan di don Lorenzo Milani "I care", lui che non crede in Dio, o almeno "credo di non credere"».
Poi, scrive ancora Berselli: «si materializza di nuovo con un perfetto colpo di scena candidandosi alla carica di sindaco della Capitale, e sembra a tutti un modo di riapparire e svanire per mettersi di lato, fuori dalla campagna elettorale perduta in partenza contro Berlusconi nel 2001».

Si notano bene alcune caratteristiche oggi familiari: non essere andato subito allo scontro diretto con b mentre al giro dopo «non è riuscito a portare un modello alternativo, una sorta di berlusconismo light più educato ma che non si discosta molto»; il renzi è andato oltre: quel modello lo ha fatto proprio e migliorato, tanto da ricevere complimenti da chi lo ha creato.
Poi le strizzatine d'occhio alla chiesa, il decisionismo e l'attenzione agli enti locali.
E, giusto per dare un'altra traccia, nel 2005 dasssindaco vola a incontrare un giovane senatore usa, Barack Obama.

Ecco, a parte annotare la prima e unica volta in cui Walter ha scommesso sul cavallo vincente (non se stesso, quindi), si può tranquillamente affermare che renzi non si è inventato nulla, anzi ha saccheggiato il repertorio veltroniano a piene mani, dal vuoto giovanilismo (veltroni lanciò marianna madia e si fece sbranare da debora serracchiani che da allora campa praticamente di rendita, ma stranamente il video non si trova...) alla retorica americanista kennediana (in cui bisogna riconoscere che renzi è ben più superficiale e banale), dal già citato decisionismo spinto alla ingenua, quanto immotivata, fede in un futuro radioso.

E poi le sempre abbondanti chiacchiere qualunquiste, tipo:
«C'è un grande bisogno di semplicità. Convivere con la complessità è solo un'inefficiente e inutile perdita di tempo, di attenzione e di energia mentale. È necessaria una notevole intelligenza per essere semplici. Il pubblico, ormai saturo di slogan e promesse non mantenute invoca chiarezza e semplicità. La gioia delle piccole cose».

Parole che mal celano una enorme presunzione, parole dirette a un "pubblico" assecondando e facendo proprio l'approccio berlusconiano, parole che potrebbero essere state pronunciate da renzi ieri. Mentre sono del 2008.


Le riforme...
In comune i due ex sindaci hanno anche una finta intenzione di vicinanza e responsabilizzazione degli enti locali, finta perché hanno mostrato di concepire il rapporto con gli enti locali con miope indifferenza, in modo conflittuale e utilitaristico come mero 'outsourcing' dei servizi più onerosi, invece di preoccuparsi di garantire i diritti di tutti.
Infatti è proprio mentre veltroni diviene sindaco che il centrosinistra di allora - anche nel tentativo di flirtare con la lega - fa approvare la sciagurata riforma del titolo V, che veltroni e rutelli accolgono così: «un appuntamento a suo modo storico, si tratta di un passo decisivo per avvicinare le istituzioni ai cittadini per davvero e non con le chiacchiere [...] questa riforma accorcia le distanze tra cittadini e istituzioni, [sarà] una democrazia più “a portata di mano“».

Oggi però sappiamo che quella, l'unica delle molte riforme costituzionali minacciate negli anni ad essere stata approvata e anche confermata dal referendum, da un lato ha creato un megaingorgo istituzionale a causa di una divisione delle competenze assurda: al contenzioso Stato-regioni si riferisce circa il 50% delle sentenze della Corte costituzionale e dall'altro ci ha regalato una classe politica regionale che è la meno competente e la più indagata. Quelli cui renzi vuol regalare l'automatica appartenenza al dopolavoro più esclusivo d'Italia, con tanto di immunità, ovviamente: il nuovo senato.


L'importanza di essere sindaco
Un inciso: ogni volta che si parla dei comuni come delle istituzioni più vicine al cittadino e dei sindaci attenti, al territorio e ai bisogni della popolazione, occorrerebbe ricordare che la carica gode di un potere quasi assoluto - visto che ad esempio può revocare gli elementi della giunta a piacimento mentre per il presidente del consiglio è ben più complicato e la sfiducia è praticamente impossibile - grazie all'elezione diretta (legge n.81 del '93) ed è solo poi, sulla base di questa vera e propria svolta, che poi si è provveduto alla quella analoga per i cosiddetti governatori regionali (legge cost. n.1 del '99).
Quindi l'effettiva assenza di 'contrappesi' al potere della carica monocratica (sia di sindaco, sia di 'governatore') permette un eccesso di confidenza le cui conseguenze fanno da sempre la fortuna di trasmissioni come Report, purtroppo.

Il veltroni sindaco inaugurò il parco della musica e la stagione dei grandi concerti, inventò la notte bianca, il festival del cinema, tante belle cose per il centro, per la città-vetrina ma per il resto tanta fuffa (renziana si direbbe oggi) sulla gestione dei servizi pubblici - mirabolanti metro rimaste sogni d'inchiostro, il centro regalato ai bus turistici - e sulla gestione delle periferie - abbandonate a se stesselasciando liberi i palazzinari di cannibalizzare l'agro romano.
Sul cosiddetto terzo settore va detto che è sotto veltroni che si istituzionalizza il business della “segregazione amichevole” e anzi, in un momento di calo di popolarità, ebbe modo di sfruttare l'aggressione di una donna per farsi sindaco-sceriffo e rilanciarsi sbattendo il rom alla sbarra insieme con tutta la Romania.
Ma in tv affermava «per niente al mondo scambierei il concetto di integrazione che c'è a Treviso con quello che abbiamo a Roma».

Ottenne così due risultati, "in quei giorni Roma fu insanguinata da atti criminali di italiani contro rumeni" e la sua popolarità riprese quel tanto che basta da fargli premere per andare alle urne prima del tempo, propugnare la sua "vocazione maggioritaria", e addirittura, accecato dal proprio ego, autografò il suo più grande fallimento pronunciando quel "noi correremo da soli" che fu anche un terribile colpo politico e d'immagine per il secondo governo prodi.
Se ci fosse stato twitter, gli avrebbe indirizzato un bel «romano stai sereno»?

Non contento della 'sboronata', era solito aggiungere «sto attento a berlusconi» perché aveva capito il suo 'pollo' e, straconvinto della sua forza, «berlusconi non abboccherà all'amo»!

Poi, fine genialata, ha cominciato a chiamarlo «principale esponente dello schieramento a noi avverso».
Vista come è andata a finire un solo commento è possibile.


È andata a finire che 
  • lui si dimette da sindaco lasciando la città in mano al vice e con un buco da 7 miliardi di euro (stima S&P, sulla reale entità del debito ancora oggi ci sono solo voci e leggende metropolitane), 
  • ovviamente perde quelle elezioni politiche che generano il primo parlamento senza un vero partito di sinistra della storia repubblicana 
  • contemporaneamente Roma passa ad aledanno.
Quando perde anche quelle sarde si dimette da segretario della sua creatura, il pd, che per lunghi anni ancora è sembrato un oggetto politico semisconosciuto, non si sapeva se definirlo malnato o mai nato.

Solo ora, dopo le larghe intese e con renzi, il pd ha finalmente chiarito le sue fattezze, anche se già dagli albori aveva mostrato di costituire non molto di più che un'opposizione all'acqua di rose per il suo 'avversario politico'.

E questo lo sa anche Walter, come sa che quello che ora renzi sta imponendo è la perfetta chiusura di un cerchio che neanche le bombe e i morti ammazzati avevano finora riuscito a chiudere.
Come sapeva, al tempo, che se giochi a scacchi ma il tuo avversario gioca col coltello sul tavolo, il gioco non è 'corretto'.

Walter non deve fare il finto tonto, gli ultimi annetti in gita in Commissione Antimafia son serviti a quello, a fargli capire - se davvero già non sapeva - che quando tirava fuori il nuovo totem della "vocazione maggioritaria" stava dando l'ultima spallata al sistema parlamentare e all'intera architettura costituzionale di questo paese, facendo un favore enorme a chi era ed è più bravo di lui a spararle grosse, polarizzare consenso, strizzare l'occhio ai veri 'poteri forti', quelli legali e soprattutto quelli illegali.

Se davvero, come commentava Diego Bianchi, «si vede che ha cambiato idea e si vuole fossilizzare nella parte di chi affonda!», speriamo solo che non porti con sé ciò che resta del paese.
Se 'sbagliare è umano', certamente 'perseverare è diabolico'.